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Gardini, cosa accadde quella notte. E sui soldi al Pci…

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Non fu certo omicidio. Quel colpo di pistola, all’alba di venticinque anni fa, non è stato solo un gesto di disperazione di Raul Gardini davanti alle manette annunciate ma fu un atto di ribellione verso quel sistema che mai lo volle accettare. Troppo grande e troppo avanti la sua visione, un’industria avveniristica che spaziava da una nuova agricoltura ad una nuova chimica.

Fu la conclusione anche di un dramma familiare che per tutta quella maledetta notte la moglie, forse, gli aveva rinfacciato, avendo rotto con i suoi fratelli per il suo sogno di una grande chimica italiana, prima di lasciarlo solo con i suoi turbamenti e la pistola sempre carica nel Palazzo di Belgioso a Milano. Con Idina Ferruzzi si vedevano di rado, ma forse fu proprio Raul a chiamarla quando capì che, dopo le confessioni del suo manager di punta, Giuseppe Garofano, arrestato in Svizzera, le rassicurazioni date da Antonio Di Pietro ai suoi avvocati, Giovanni Maria Flick e Marco De Luca, non sarebbero state più onorate.

Il carcere per Gardini era inaccettabile, soprattutto per un motivo: si sentiva al pari di Agnelli, al quale erano state risparmiate le manette nonostante non potesse non sapere del ‘sistema Fiat’ in Tangentopoli, con i suoi dirigenti dietro le sbarre. E lui avrebbe dovuto avere lo stesso trattamento.

Raul Gardini era un sognatore, forse incompreso ma che aveva visto giusto, era anche abile giocatore di poker e come tale si è sempre comportato, negli affari e in tutte le sue relazioni. Sapeva bluffare come pochi, oltre ogni azzardo. Una volta, sconsigliato da tutti, mobilitò migliaia di truppe per andare a Padova, terra del Ministro delle partecipazioni statali dell’epoca, Carlo Fracanzani, a gridare provocatoriamente “la chimica sono io” nel momento più delicato per il controllo dell’Enimont, la joint venture tra Eni e la sua Montedison. Oppure quando in un drammatico incontro nello studio privato del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, argomento gli importanti sgravi fiscali del settore, dopo averlo convinto gli disse, con un ghigno beffardo, che lui, di quelle agevolazioni non aveva affatto bisogno.

Se Gardini non fosse stato un giocatore così irruento, il destino della chimica italiana sarebbe stato radioso invece che così fallimentare. Anziché forzare la mano per il controllo di Enimont, avrebbe dovuto aspettare solo un anno e mezzo e nessuno, secondo contratto, l’avrebbe più bloccato. Volle bruciare i tempi ingaggiando una lotta senza quartiere con la politica, quella politica “degli appalti e degli appaltatori”, come ripeteva ossessivamente, che avrebbe pagato qualsiasi prezzo pur di toglierlo dalla scena, come prima o poi dovrebbe raccontare Franco Bernabè che di quella joint venture è testimone eccellente.

Quello che nessun processo è riuscito a chiarire è che la cifra pagata al sistema dei partiti dalla Montedison fu il prezzo pagato per la sconfitta di Gardini con la sua resa. E fu proprio Gianni Agnelli a sussurrare alla famiglia Ferruzzi, dopo l’uscita traumatica di Gardini dal Gruppo, di riprendere un dialogo con i partiti. Raul invece da quel momento inseguì un sogno folle: distruggere la Ferruzzi, il colosso che aveva ereditato dal mitico Serafino, e creare la Gardini grazie a una buonuscita di 500 miliardi che i cognati gli elargirono generosamente.

Fu quello l’inizio della fine del più grande gruppo multinazionale italiano. A Mediobanca, alla Fiat e al sistema del potere non sembrò vero volare come degli avvoltoi su quella famiglia, strappando i pezzi più pregiati e affidando l’opera a personaggi come Guido Rossi ed Enrico Bondi, da sempre legati a loro e facendo di tutto perché la Goldman Sacks di Claudio Costamagna non corresse in soccorso.

Ma la morte di Gardini ha avuto un altro enorme significato, che per anni ha influito sul corso della politica italiana. Con lui in vita, in cella o libero, il pool di Mani Pulite avrebbe potuto trovare riscontri sul miliardo di lire portato a Botteghe Oscure come finanziamento del PCI, cosa che comunque già risultava dagli appunti trovati.

Se Gardini avesse potuto parlare, probabilmente si sarebbe fatta chiarezza sul coinvolgimento del Partito Comunista e forse la storia d’Italia degli ultimi vent’anni sarebbe stata differente, senza quell’ombra di condizionamenti tra politica e magistratura che l’ha contraddistinta. Con Gardini in vita, non solo la chimica e l’agricoltura sarebbero state diverse. Ma soprattutto la politica.

Luigi Bisignani, Il Tempo 24 luglio 2018

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