Celiando ma non troppo, si potrebbe stilare un breve decalogo del “buon democratico”, ovvero elencare i punti fermi da tener presenti nel discorrere della crisi energetica e della conseguente e annunciata “catastrofe” autunnale negli approvvigionamenti ed economico-finanziaria. In verità, non ce ne sarebbe nemmeno bisogno se l’Italia fosse un Paese veramente democratico e liberale. Ma tant’è! E il paradosso è che meno democratico di tutti gli altri è spesso proprio chi pretende di dar lezioni di democrazia. Il nostro decalogo si limita ad elencare tre soli punti, tanto capitali quanto appunto poco ben chiari da queste parti:
1. sulle politiche energetiche, così come su tutte le altre policies di uno Stato di diritto, è lecito e doveroso discutere. La democrazia liberale si caratterizza proprio perché permette questa discussione. E nessun argomento nel dibattito pubblico è, o può diventare, tabù;
2. al contrario di fanatici e antidemocratici, i liberali cercano, nella misura del possibile, di discutere e e di indicare delle soluzioni ai problemi senza dogmatismi e ideologismi, con pragmatismo e buon senso:
3. conseguentemente essi, proprio perché hanno come bussola una soluzione non strumentale o utilitaristica dei problemi, eliminano dal discorso ogni ipocrisia: cercano, nella misura umanamente possibile, di adeguare le parole ai comportamenti e ai fatti, senza secondi fini.
Vi sembra che i partiti di sinistra, e i media compiacenti e amici (cioè la stragrande maggioranza di essi), stiano seguendo questa linea di condotta nel nostro caso? A ben vedere, chiunque ritiene che, ferma restando l’adesione senza se e senza ma alla cornice atlantista e europeista (nel senso buon della parola), sia lecito discutere in pubblico, cioè appunto democraticamente, di quale sia il modo migliore per fermare la guerra e aiutare l’Ucraina difendendo la sua sovranità nazionale, viene oggi non solo messo a tacere se non conferma la tesi mainstream ma persino giudicato “amico di Putin” e al suo servizio. Ultimo esempio, ieri: Enrico Letta ha commentato sarcastico i dubbi di Matteo Salvini (che sono comunque quelli di importanti analisti e organi di stampa internazionali) dicendo che Putin non avrebbe saputo dire meglio. Ha senso accusare gli altri di “fascismo”, quando poi su un tema di così vitale importanza per tutti noi, si vuol chiudere la discussione con una sorta di aggiornato “credere, obbedire, combattere”? Si può fare “come in Russia” per combattere l’aggressività e le pretese della Russia?
Venendo al secondo punto, preso atto che le sanzioni non stanno funzionando, o non come credevamo, non sarebbe opportuno ricalibrarle, cercare altre vie, porre il tema agli alleati dell’asimmetria dei contraccolpi in Europa e negli Stai Uniti, ecc. ecc. Non si tratta semplicemente di fare autocritica, ma di portare un contributo a quel metodo democratico che procede per “tentativi ed errori”, avendo in mente il fine e non interpretando in modo servile il rapporto con gli alleati.
Quanto all’ipocrisia, il discorso sarebbe fin troppo lungo. Basti qui dire che molti degli antiputiniani che calcano oggi la scena pubblica italiana e pretendono i dare lezioni non hanno certo la coscienza pulita. È vero che non solo loro non ce l’hanno, ma un po’ di modestia e una sana autocritica sarebbero sicuramente più apprezzate della retorica adottata da “sepolcro imbiancato”. Basti pensare che i governi che più hanno legato il nostro destino a quello della Russia, scartando l’ipotesi di una diversificazione delle fonti energetiche sono stati, come documentato qualche giorno fa da La Verità, quelli di Mario Monti ed Enrico Letta (il culmine si è avuto proprio nel passaggio dall’uno all’altro esecutivo).
Se è vero che il secondo governo Berlusconi aveva tenuto in particolare conto le esigenze commerciali, diciamo così, di Putin, ciò era avvenuto in un contesto internazionale ben diverso dall’attuale, con Mosca che si stava addirittura integrando nelle nostre strutture economiche e politiche. Già con il governo Prodi c’era poi stato un riequilibro fino a che col secondo governo Berlusconi, dopo l’attacco alla Georgia del 2008, la dipendenza era precipitata a picco, raggiungendo il minimo storico. La nuova impennata al si era avuta in coincidenza con l’intensificarsi della politica imperialistica della Russia e con l’annessione della Crimea.
Come si può essere così ipocriti da occultare con vere e proprio fake news la realtà storica? Come si può oscurare il fatto che proprio i governi i sinistri, quando le intenzioni di Mosca erano a tutti ormai ben chiare, hanno intensificato i rapporti di affari col despota russo?
Corrado Ocone, 4 settembre 2022