Anche se in Europa non ha avuto l’eco che meritava, la vicenda del giacimento di gas denominato Karish che si trova nel Mediterraneo, nelle acque di sfruttamento israeliane a sette chilometri a sud del confine marittimo con quelle libanesi, ha una sua importanza strategica per tutto il Medioriente e importanti interessi per l’Europa e per l’Italia in particolare. Per capire cosa sta succedendo e analizzare gli scenari di ciò che potrebbe accadere, è necessario mettere in chiaro particolari che sono alla base del caso.
Sono diversi i giacimenti di gas naturale che Israele gestisce, i più importanti sono il Tamar, divenuto operativo nel 2013, e il Leviathan che è diventato operativo nel 2019. La riserva offshore di gas israeliana è stimata intorno ai 900 miliardi di metri cubi (bcm), quantitativo in grado di rendere il paese autosufficiente per diversi decenni. Se per il Tamar e il Leviathan non ci sono stati problemi dal punto di vista della zona di sfruttamento, lo stesso non si può dire per il Karish, e anche se la querelle del posizionamento del giacimento era già stata chiarita direttamente dall’Onu in favore di Israele, il Libano ha fatto decisa opposizione alla trivellazione.
Prima dello scoppio della guerra fra Ucraina e Russia, con il conseguente blocco a singhiozzo dell’erogazione del gas russo verso l’Europa, il governo israeliano voleva rimandare di qualche anno la trivellazione del giacimento Karish sia per evitare problemi con il Libano sia, e soprattutto, per lasciare quel gas come deposito strategico. Gli eventi hanno però cambiato le carte in tavola e il gas israeliano, considerando la situazione di estrema emergenza che si è venuta a creare, è diventato preziosissimo.
Le prime esportazioni verso l’Europa, soprattutto dopo la visita del primo ministro italiano Draghi a Gerusalemme, sono partite dal giacimento Leviathan che, tramite un gasdotto che collega Israele all’Egitto, ha fornito una buona percentuale del gas che arriva in Europa tramite Il Cairo. Trattandosi però di una soluzione di emergenza, la trivellazione e la messa in operatività del giacimento Karish, che sarà destinato alla sola esportazione, ha assunto carattere di urgenza. Fortunatamente, e questa è la buona notizia, gli attriti fra Beirut e Gerusalemme sembrano essere stati appianati dal mediatore Usa che da mesi si occupa di trovare una soluzione amichevole anziché passare alle vie di fatto applicando la decisione delle Nazioni Unite.
Secondo le ultime informazioni, l’accordo fra Libano e Israele è vicino e in questi termini: il Libano riconosce che il giacimento Karish è in acque di sfruttamento israeliane (non poteva comunque fare altrimenti visto che anche l’Onu ha dichiarato che il confine territoriale è più a nord) a patto che la società che sta iniziando le trivellazioni sul Karish si impegni a trivellare anche i giacimenti in acque di sfruttamento libanesi. Cosa che il governo Usa assicurerà certamente pur di chiudere la querelle e offrire agli alleati occidentali quante più fonti di approvvigionamento possibile. Ma c’è un ma, Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah, ha fatto sapere che non permetterà lo sfruttamento israeliano di Karish, che ha a disposizione missili che possono colpire la piattaforma e che la milizia sciita farà di tutto pur di far naufragare gli accordi.
È logico pensare che dietro ci sia l’Iran, il fornitore ufficiale dei missili di cui sopra, e che anche la Russia, dopo essere giunta quasi alla rottura delle relazioni diplomatiche con Israele, non vuole certo un nuovo concorrente che possa esportare verso l’Europa milioni di metri cubi di gas al giorno. Gas che toglierebbe una parte degli introiti e che allenterebbe la morsa che Mosca sta attuando verso il vecchio continente in questo momento di crisi politica, militare e, soprattutto, energetica.
Anche considerando i droni che Hezbollah ha lanciato nei giorni scorsi verso la zona dei lavori per la preparazione della trivella del giacimento Karish, droni poi abbattuti dalla marina israeliana, Gerusalemme ha fatto sapere che non tollererà attacchi di nessun tipo verso quel quadrante. La speranza è che alle minacce non seguano i fatti e che il gas israeliano, liquefatto o via gasdotto, arrivi in Europa prima possibile e possa, almeno in parte, alleviare le difficoltà che si stanno materializzando a causa del blocco russo.
Michael Sfaradi, 28 luglio 2022