Non intende concludersi il balletto europeo sulla fissazione di un tetto massimo al prezzo del gas. A Praga, durante il summit della Comunità Politica Europea, l’Italia ha bocciato la proposta di un price cap, limitato alle forniture di metano interne all’Ue e per l’elettricità, proposto pochi giorni fa dalla Commissione Europea. L’obiettivo, ad oggi, rimane quello dell’introduzione di un “tetto dinamico”, ipotizzando un valore medio, che potrà essere rivisto in base alle variabili di mercato, sul quale verrebbero stabilite fluttuazioni sui diversi hub europei. Una proposta che ha già trovato l’approvazione di Belgio, Grecia e Polonia.
Tensioni europee
Insomma, si tratterebbe di una soluzione più soft, rispetto a quelle discusse in questi ultimi mesi. Prima riguardante solo il gas russo, poi tutte le importazioni Ue, fino ad arrivare ad un limite massimo, stabilito all’interno dei confini continentali; sembra che l’idea di un price cap dinamico, accolta con favore anche dal commissario Paolo Gentiloni, possa essere la strada definitiva.
Eppure, l’Italia ed i vertici di Bruxelles dovranno far fronte anche a quelle che sono le sensibilità dei propri fornitori. In virtù della fortissima riduzione di gas russo di questi ultimi mesi (passato dal 40 per cento di febbraio all’1,8 per cento di questa settimana); ad oggi, il principale importatore italiano di metano è proprio l’Algeria, la quale prosegue nell’aumento delle proprie esportazioni – pari al 44,7 per cento del nostro gas totale – grazie alle ottime relazioni con l’esecutivo di Mario Draghi. Al di là tutto, però, anche i migliori possono storcere il naso.
Il no di Algeri
L’amministratore delegato della compagnia nazionale algerina di idrocarburi Sonatrach, Toufik Hekkar, ha ribadito la totale inidoneità di uno strumento come il price cap, non solo in un’ottica di abbassamento dei prezzi, ma anche perché contrario ai meccanismi del liberismo: “Un tetto al prezzo del gas è una misura che non ha nulla a che fare con i meccanismi del libero mercato e non serve né agli interessi dei produttori, né dei consumatori”. Insomma, si tratta di un vero e proprio rigetto delle soluzioni che, da lunghissimi mesi, Bruxelles vorrebbe applicare. E le ragioni di questo secco no sono molto semplici.
A meno che non si tratti di un’economica socialista, centralizzata e pianificata, il prezzo del bene da vendere lo deciderà sempre il fornitore, non il consumatore. In presenza di soluzioni alternative, allora sì che l’acquirente potrà rivolgersi ad altri soggetti (se il pane costa meno al supermercato B, allora non andrò a prenderlo in quello A), ma – malauguratamente – non è questa la situazione italiana. L’unica alternativa plausibile, in caso di fissazione di un price cap e relativo rifiuto di Algeri di esportare il suo gas, sarebbe quella di aumentare le nostre forniture da altri acquirenti (Libia, Qatar, Russia, Norvegia, Paesi Bassi ed Azerbaigian), sempre che questi ultimi vogliano sottostare al ricatto del tetto massimo al prezzo, e siano in grado di coprire tutte le importazioni dell’Algeria.
Ad oggi – inutile dirlo – l’alternativa sarebbe impossibile. Escludendo Mosca ed Algeri – che insieme fanno il 46,5 per cento del nostro gas – tutti i Paesi appena menzionati rappresentano meno della metà del nostro metano. E ciò è anche un valore superiore alla media, grazie agli sforzi americani, con cui Biden è riuscito a convincere il Giappone a trasferire quote di Gnl – prodotte dal Qatar – da Tokyo all’Europa.
Conseguenze
In definitiva, la conseguenza potrebbe essere devastante: rimanere completamente senza gas. Non vuoi comprarlo alle modalità ed ai valori che dico io fornitore? Bene, allora potrai andare a ricercarlo da un’altra parte, sempre se lo trovi.
Alle attuali condizioni, l’Italia non sarebbe in grado di ricoprire una posizione per un negoziato, non avendo neanche un piano B da applicare. Sotto questo profilo, ci troveremmo nella posizione paradossale di aver applicato un tetto massimo ad un bene che non ci viene più venduto. Una follia, oltre ad essere un suicidio economico. Ma a Bruxelles non se ne sono ancora accorti.
Matteo Milanesi, 7 ottobre 2022