Germania in crisi e pastrocchio Spagna: cosa deve evitare l’Italia

La riforma costituzionale serve a garantire anche nel Belpaese che “chi vince governa”. Altrimenti il rischio è lo stallo

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Germania Spagna premierato

In Germania la forma di governo è parlamentare, con la variante del Cancellierato. È così da sempre, come da sempre è in vigore un sistema elettorale proporzionale con soglia di sbarramento al 5%: la metà dei seggi è attribuita col sistema dei collegi uninominali a turno unico, ma la distribuzione numerica è decisa su base proporzionale.

La crisi della Germania

Fatto sta che, dopo le elezioni federali del settembre 2021, il sistema politico tedesco ne è uscito parecchio frammentato: primo partito la Spd con 206 seggi, secondo la Cdu con 152 scranni. Poi a seguire i Verdi (118), il partito liberal-democratico (92), Afd (83), Unione cristiano-sociale (Csu) in Baviera (45) e Die Linke (39). Visto che Cdu e Csu convergono da sempre nello stesso gruppo parlamentare (Unione), il totale dei seggi del centrodestra tedesco è di 197, appena nove in meno della Spd. Il Cancelliere tedesco ed il suo governo sono votati a maggioranza assoluta dal Bundestag (la metà più uno dei componenti l’assemblea). A seguito delle elezioni federali, né la Spd né la Cdu/Csu hanno i seggi sufficienti per esprimere – da soli – un Cancelliere, quindi la Spd – primo partito (seppur per una manciata di seggi) – dopo una trattativa politica durata più di due mesi forma un governo con i Verdi e i liberal-democratici. Cancelliere è il leader della Spd, Olaf Scholz. Ma dopo meno di due anni il governo entra in crisi. Tra crisi industriale e difficoltà nella transazione energetica, i Verdi hanno messo in ginocchio l’esecutivo, tanto più che la Corte costituzionale federale ha di recente stabilito che la decisione del governo di Scholz di riallocare 60 miliardi di euro di debito inutilizzato dell’era della pandemia al suo fondo per la transizione climatica e l’industria, noto come Ktf, è incostituzionale. E senza i Verdi, Scholz non ha più la maggioranza assoluta nel Bundestag.

Si dimette Olaf Scholz?

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Il punto politico è che, per sostituire Scholz (a meno che non si dimetta lui e chieda elezioni anticipate), occorre un voto di sfiducia costruttiva da parte del Bundestag, con il nome di un nuovo Cancelliere già pronto, da votarsi a maggioranza dei componenti (maggioranza assoluta). Se non si dovesse raggiungere la maggioranza per la sfiducia costruttiva, il Cancelliere essendo venuto meno il contratto di governo si troverebbe comunque costretto a rassegnare le dimissioni. L’attuale maggioranza non trova la quadra, e allora si parla di nuovo di “Große Koalition” (grande coalizione) tra Spd e Cdu/Csu. I numeri in parlamento, in teoria, ci sarebbero. Al Bundestag la composizione numerica variabile esprime oggi 736 deputati; quindi, un nuovo Cancelliere deve essere votato da almeno 369 deputati. Spd e Cdu/Csu hanno in totale 403 seggi (206+197), trentaquattro seggi in più della soglia minima richiesta. Una Große Koalition momento però non è al possibile perché la Cdu/Csu subodora di essere il primo partito (seppur di poco) in caso di elezioni anticipate, con la concreta possibilità di esprimere il Cancelliere in un governo di coalizione post-elettorale.

Il patto anti-Afd

Elezioni anticipate sono dunque nell’aria. Non solo i treni in Germania non sono più puntuali come una volta ma anche i governi cadono. Sembra l’Italia di un tempo. E il rischio è persino che le elezioni alla fine siano vinte da Afd. Ora, non è mai successo in Germania che, dopo le elezioni federali, il Cancelliere non appartenesse al partito che è arrivato primo nelle urne. Ma stavolta, per evitare che diventi Cancelliere un esponente di un partito dichiaratamente anti Unione europea, non sarebbe da escludere una alleanza post-elettorale Cdu-Csu/Spd (cioè tra secondo e terzo partito) che tenga fuori dall’esecutivo il primo partito. Sempre che ci siano i numeri. Saremmo in tal caso di fronte ad una manovra legale dal punto costituzionale, ma illegittima dal punto di vista politico e democratico. È difficile che i tedeschi arrivino a fare una cosa del genere (anche perché alle elezioni successive la Afd prenderebbe da sola la maggioranza assoluta dei seggi), ma nell’attuale crisi politica dell’Europa tutto è possibile.

Il caso spagnolo

Come, ad esempio, è accaduto in Spagna, dove il partito che è arrivato – seppur di poco – primo alle elezioni, cioè il partito popolare (maggioranza relativa dei voti e dei seggi), è rimasto fuori dall’esecutivo, presieduto dal leader dei socialisti, arrivati secondi. Anche qui, tutto legale dal punto di vista costituzionale (la maggioranza numerica in Parlamento c’è), ma illegittimo dal punto di vista politico e democratico.

Il governo in Italia

In Italia la situazione è al momento più lineare. L’attuale governo è pienamente legittimo in quanto espressione di una maggioranza parlamentare che nelle urne ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti ed assoluta dei seggi; tuttavia, in passato, anche noi abbiamo avuto governi che hanno escluso dalla propria compagine il primo partito (M5S, dal 2013 al 2018), o tutti i partiti della coalizione che era arrivata prima alle elezioni (il centrodestra con il Conte II, settembre 2019 – febbraio 2021).

La riforma del premierato

L’attuale governo ha presentato un ddl di revisione costituzionale (ddl Meloni-Casellati) che prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri e un sistema elettorale maggioritario. Al di là degli aspetti di criticità, che non ci interessa esaminare in questa sede, l’intento dell’attuale maggioranza è quello di evitare che al governo del Paese vada la lista o coalizione di liste che non ha ottenuto nelle urne la maggioranza – quantomeno relativa – dei voti e dei seggi. Insomma, con la riforma costituzionale l’obiettivo del centrodestra è: chi vince le elezioni governa. Un concetto che dovrebbe essere scontato e naturale.

Il centrosinistra italiano (Pd e M5S) non ha – di suo – presentato al momento nessun ddl di revisione costituzionale e allora alcuni parrucconi amici di Mattarella (su tutti Giuliano Amato) hanno avanzato sui giornali una proposta di Cancellierato alla tedesca. L’intento è chiaro: impedire, da sinistra, la costituzionalizzazione di un sistema elettorale che garantisca la governabilità, in modo da consentire al Pd di tornare al governo da partito sconfitto nelle urne. Se il tentativo non lo fanno in Parlamento Pd e M5S, ci pensa il Colle con i suoi amici costituzionalisti, quelli che sostenevano pubblicamente la riforma Renzi-Boschi solo perché di sinistra (ma di nascosto si turavano il naso), mentre avversano ogni tentativo di revisione costituzionale approntato dal centrodestra. Insomma, sempre la solita musica.

Chi vince governa

La crisi politica spagnola prima, e quella tedesca ora ci insegnano che il sistema elettorale proporzionale funziona solo quando esistono grandi partiti di massa. Quando invece quei partiti sono in crisi, soprattutto in termini di voti, l’unico sistema elettorale in grado di ridare vigore alla politica è il maggioritario. Poco importa se un proporzionale con premio di maggioranza o i collegi uninominali a turno unico o doppio turno.

Il Governo Meloni porti dunque avanti il suo ddl di iniziativa governativa, il quale certamente abbisogna di correttivi significativi, ma su un punto non deve cedere: al governo del Paese ci deve andare chi prende più voti e più seggi nelle urne. Sembrava un concetto logico e ormai assodato, ma non è più così. Lo dimostra il recente governo spagnolo e, chissà, forse anche il prossimo esecutivo olandese. Se con un sistema elettorale proporzionale il partito più votato nelle urne non va al governo, a cosa serve andare a votare?

Paolo Becchi e Giuseppe Palma, 20 dicembre 2023

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