Chiesa

Gesù bambino, Veneziani smonta la “teologa” Murgia

Secondo Michela Murgia, la nascita di Gesù è “la trama di un film drammatico”. Ma è Veneziani a rimettere le cose in chiaro

Mai come oggi, il rifiuto della simbologia e del tradizionalismo occidentale sta permeando negli Stati Uniti ed in Europa. Se nel Paese d’oltre oceano, la situazione risulta essere ben più grave rispetto agli Stati del nostro continente (dove, almeno per ora, non si contano ancora esempi estremi di abbattimenti di statue e violenti negazionismi contro la cultura nazionale), il fenomeno però è in continua espansione, ed i protagonisti sono soprattutto nell’area progressista e radical-chic internazionale.

L’ultimo esempio è stato l’articolo apparso su La Stampa, a firma di Michela Murgia, secondo cui “i cattolici amano un Dio Bambino perché rifiutano la complessità”. E ancora: “Solo i cattolici hanno compiuto nella persona del Cristo incarnato l’idealizzazione dell’infanzia, costruendo intorno alla sua nascita una retorica di tenerezza zuccherosa priva di riscontro biblico. Nelle Scritture, il racconto della nascita di Gesù somiglia infatti più alla trama di un film drammatico, sebbene cominci da un innesco piuttosto banale, di quelli in cui potremmo presto o tardi incappare tutti: si parte da un viaggio scomodo intrapreso per obbligo burocratico imposto dal governo”.

Insomma, una bomba contro la religione cattolica, in particolare cristiana, che viene definita come un vero e proprio “film drammatico” oppure come “una retorica di tenerezza zuccherosa”. Una visione semplicistica che non dà conto di tutto quanto è ruotato intorno alla religione, sotto il profilo culturale, letterario e filosofico, durante il corso dei secoli scorsi.

Per approfondire:

Ma è lo scrittore Marcello Veneziani a cucinarsi letteralmente la radical chic Murgia, con un articolo sulle colonne de La Verità. Veneziani rimette le cose in chiaro, e ricorda il valore intrinseco che accomuna la religione e le altre sfere della vita: “L’eredità del pensiero greco e della visione giuridica romana, la nascita di un sofisticato diritto ecclesiastico. Il carattere di una religione è di essere rivolta al popolo, e dunque chiara, semplice, diretta, alla portata di tutti. Ognuno vede Dio secondo il suo grado di comprensione”. E prosegue: “C’è chi legge la Summa Teologica e chi apprende il cristianesimo dal ciclo della Natività di Giotto, che spiega con le figure il senso e il racconto di una fede. Esattamente come erano i miti di cui è permeata ogni civiltà, in cui anzi è fondata ogni civiltà. Anche i miti come le religioni hanno una lettura universale, popolare, semplice e una più elevata, più complessa, a volte esoterica”.

Lo scrittore non si ferma e puntella Murgia proprio sul tema dell’infanzia di Dio Bambino: “Nel cristianesimo l’infanzia segna l’inizio e la meta della fede: è all’inizio con la venuta al mondo, la discesa dal cielo di Dio che si fa umano e bambino; ma diviene poi la meta del cristianesimo: ritrovare il candore dell’infanzia, tornare semplici e puri, come bambini, ma emendati dal peccato originale che ci accompagna dalla nascita. Da qui il ruolo importante dell’infanzia, non solo allo scopo di formare, educare i fanciulli (sinite parvulos venire ad me, lasciate che i bambini vengano a me, dice Gesù), ma allo scopo di ritrovare nel compimento della vita, nella metanoia o rinnovamento, conversione, lo spirito d’infanzia delle origini”. Una visione che “è in sintonia con le altre visioni del mondo tradizionali alle origini di ogni civiltà, di ogni mito, di ogni rito, di ogni liturgia e simbologia: ritrovare la purezza delle origini”.

Ma è la fine del pezzo che distrugge letteralmente la visione di murgiana memoria: “Ora, è d’uso nel nostro tempo, soprattutto tra intellettuali e preti progressisti, ridurre il cristianesimo al nostro presente e ai suoi dogmi: il rifiuto della famiglia tradizionale, della paternità, della maternità e della natività, l’adesione a una sessualità fluida, libera e mobile, la propensione a sostituire il prossimo con l’umanità astratta e remota, e dare priorità ai migranti venuti da lontano; e in generale sostituire la natura, la storia, la norma, i limiti, con i desideri”.

E Veneziani sentenzia: “Così nasce il Dio queer, la teologia sartoriale, adatta alla propria taglia, la fede come variabile secondaria e dipendente dei propri desideri. Quel che giudicano semplice è l’umile accettazione della realtà, dell’evidenza, della differenza, delle identità, e dei nostri limiti. Ma alle origini di ogni religione c’è una certezza o una scommessa, per dirla con Pascal: l’io passa, Dio resta”.