La manipolazione è facile se sai come farla. Basta introdurre un falso problema che si mangia quello vero. Allora la discussione viene incanalata in un imbuto che preclude tutte le altre prospettive con annesse ragioni. E la comprensione lascia posto al delirio. Non c’è bisogno di conoscere il funzionalismo strutturale di Luhmann. Un esempio lo abbiamo sotto gli occhi in questi giorni. I presunti tweet sessisti sono di Gino Cecchettin o il frutto di mano hacker? Sono suoi no sono falsi. Si no. Sinistra destra. Logica binaria. Anche sui vaccini la vexata quaestio era si no, pro – no. Fanno bene, fanno male? Si no. Vanno scelti liberamente o lo stato deve imporli? Si no. Pro – no. Lo stesso sul clima. Credi o neghi? I cambiamenti climatici, li veneri o bestemmi? Pro o no. Si no. D’accordo ma ci sono o non ci sono? Colpa dell’uomo, bianco, capitalista? O di Dio che così li ha concepiti dalla notte dei tempi? E le ricette proposte, in caso, hanno senso, sono praticabili, convengono? Quanto costano? Qualcuno sa di cosa stiamo parlando o vale la legge di Greta, io sono io, sono disagiata e voi non siete un cazzo e mi rubate il futuro? Si no. Pro e anti.
Torniamo a Gino. Che non è Paoli ma Cecchettin, l’unico e solo. Tu ci credi in Gino? Si no. Pro – no. Cosa dicono quei tweet, cosa simboleggiano, che conseguenze comportano se mai? Si no. Suoi o no. Pro e no.
La manipolazione è arrivata e ha funzionato. Ma cerchiamo di sottrarci al miraggio, aggrappandoci ad un relitto di logica, a una scialuppa di buon senso: non è tanto questione di possibilità di truccare contenuti vecchi di anni, alterando le date, il che, per quanto se ne sa, pare virtualmente impossibile; la questione vera è la seguente: perché uno avrebbe dovuto alterare il Gino-pensiero? Perché, per quale motivo? Con quale scopo? Io lo chiedo da giorni, nessuno mi risponde, nessuno mi trova una spiegazione decente. Uno, su X, si è avventurano in un megacomplotto che partiva dal Britannia, passava per la fabian society e approdava a papà Gino. L’ho bannato, il mondo non è che sia al contrario, è che è pieno de matti.
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Insomma, cui protest? Dal che discende la faccenda vera, l’unica che rileva: la ripetiamo dopo averla già proposta in chiave di lettura: quei contenuti di per sé sono in fondo innocui come lo sono le cose patetiche, come lo sono i commenti in fregola di un uomo di mezza età; viceversa, diventano ingombranti se effettivamente espressi, e non 40 anni fa ma appena ieri, da uno che, appena oggi, si presenta urbi et orbi a dare lezione di educazione civica e persino di linguaggio. Dal patriarcato social al patriarca tivù il passo è breve e troppo breve. E, in caso, troppo comodo. Per questo sarebbe bello che Papa Gino chiarisse la sua omelia alla luce dei cinguettii maledetti che gli si imputano: così schiarisce tutto e si fa piazza pulita di quest’altra diatriba allucinante. Se sono proprio suoi, allora la finisse di insegnarci a vivere, per di più accusandoci (siamo tutti responsabili, tutti criminali, tutti maschi…), si assumesse, virilmente, la responsabilità delle eventuali coglionate passate, per le quali nessuno lo crocifiggerà, almeno tra chi resta umano, non essendo di sinistra, e si chiudesse in un dignitoso silenzio: fatti, non sermoni. Almeno dimostra sul serio che ha capito, che è cambiato. Se non sono suoi, si incazzi, lo urli urbi et orbi, incarichi la DIGOS, la polizia postale, il Padreterno di far luce e smentisca categoricamente qualsiasi contenuto famigerato. Diceva Pertini: diffidate delle acque chete, di chi non si incazza mai.
Solo che Gino non fa né l’una né l’altra cosa. Gino gira intorno. Pretende di porsi come nuova coscienza collettiva. Lascia cadere frasi come rovesci di pioggia: adesso ho capito, adesso sono un altro; e ciascuno si faccia l’idea che vuole. Però manda l’avvocato a querelare i “leoni da tastiera”, cui evidentemente verranno chiesti soldi in sacra riparazione dell’onore: finiranno se mai nel capitale sociale della fondazione appena annunciata? Il legale da parte sua alimenta l’ambiguità: non spiega, non “entra nel merito”. Si no. E tutto finisce nell’imbuto.
Insomma, era il suo profilo quello? È stato inventato di sana pianta? E come mai su linkedin lo stesso soggetto aveva la stessa faccia e lo stesso nome? Perché la faccenda riguarda anche noi, coinvolge tutti, altro che patriarcato: se un padre che perde una figlia ammazzata, dopo una moglie stroncata dal male, viene ricreato da ignoti mascalzoni per il puro gusto di rovinarlo (ma perché, che senso ha, con quale utilità?), allora siamo ridotti assai peggio di quanto sospettavamo, siamo al genere disumano, altri simili a noi ci fanno scontare l’immenso dolore con una immensa vergogna, di cui portiamo la pena ma non la colpa. “Ripeto: non entro nel merito di singoli episodi che sono al vaglio della polizia postale”, ripete l’avvocato.
Non è troppo comodo? Non è in un certo senso assurdo rispondere così a precisi quanto atroci sospetti? L’erba vaglio dove cresce? Nel giardino del cavillo tecnico, legale, ma non in quello della verità. Noi saremmo molto, molto curiosi di conoscerla questa verità, che probabilmente Gino conosce come la conosce il suo dominus. Non per voyeurismo spicciolo, ma per sapere se effettivamente siamo ridotti alla società ignobile, senza saperlo e senza ricette da opporre. Pensando magari ai nostri figli che erediteranno questa diarrea morale. Se invece non bisogna ostacolare, disturbare la costruzione di un altro totem, la sua ascesa al cielo della politica, ebbene ci si spieghi almeno questo. Invece, anche qui fumo, fumo di tenebra. Si no. Vero falso. Pro e anti. L’imbuto. Le querele. Tu ci credi a Gino?
Max Del Papa, 13 dicembre 2023