No, Giorgia Meloni non ritirerà la querela contro Roberto Saviano. Lo scrittore, che nelle scorse settimane ha piagnucolato in ogni dove fingendosi martire per la libertà di espressione, dovrà affrontare il processo fino in fondo. Senza sconti da parte del presidente del Consiglio.
L’intervista di Meloni su Saviano
Meloni lo ha fatto sapere oggi in un’intervista al Corriere della Sera. Al direttore Fontana che gli chiedeva se intendesse ritirare la querela contro l’autore di Gomorra, che guarda caso è anche un collaboratore del Corsera, il leader di Fratelli d’Italia ha risposto picche. E ha argomentato la sua scelta: “No, non penso di farlo – ha spiegato – Io ho presentato la querela quando ero capo dell’opposizione. L’ho fatto non perché Saviano mi aveva criticato sull’immigrazione ma perché, nel tentativo vergognoso di attribuirmi la responsabilità della morte in mare di un bambino, mi definiva in tv in prima serata una ‘bastarda’. E quando gli è stato chiesto se quella parola non fosse distante dal diritto di critica ha ribadito il concetto”.
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Il piagnisteo di Saviano
Insomma, puoi anche fare il martire per la libertà di parola, ma una cosa è criticare le scelte di un politico e un’altra è insultarlo di fronte alle telecamere. Per di più senza scusarsi una volta passata la foga del momento. E poco c’azzecca la lamentela, sostenuta da Saviano e da una combriccola di grandi intellettuali, secondo cui il “potere” non dovrebbe querelare i “cani da guardia” giornalisti. Per due motivi molto semplici: primo, nel momento in cui la querela è stata sporta, Meloni era a capo dell’opposizione e non al governo; secondo, spiega Meloni, farlo significherebbe “ritenere che la magistratura avrà un comportamento diverso in base al mio ruolo, ovvero che i cittadini non sono tutti uguali davanti alla legge“. “Io credo – conclude il premier – che tutto verrà trattato con imparzialità, vista la separazione dei poteri. Ma penso anche che una certa sinistra non debba considerarsi al di sopra della legge”.
Roberto insomma se ne faccia una ragione: la presunta “democratura”, l’attacco alla “libertà di parola” e di critica non c’entra nulla. Qui si discute se sia lecito o meno definire “bastardo” un politico sulla base di una foto.