La vita è una cosa buffa e può capitare di doverti occupare delle piccole cose di pessimo gusto, per esempio questo Andrea Scanzi, uno che ignora il Leopardi dei Pensieri: “Gli uomini si vergognano non delle ingiurie che fanno, ma di quelle che ricevono. Però ad ottenere che gli ingiuriatori si vergognino, non v’è altra via che di rendere loro il cambio”.
Ingiurie a casaccio
Questo Scanzi ha una coazione a ripetere ingiurie puberali apparentemente a casaccio, se non c’è una polemica servita calda dove infilarsi la crea lui, è un take away del cicaleccio aperto 24 ore su 24; adesso, out of the blue, punta Federico Palmaroli, l’alter ego di Osho che con le sue trovate verbali, roba d’alta scuola, diciamo un Longanesi, e con le sue elaborazioni grafiche diverte ogni giorno decine di migliaia di lettori trasversali. Gli è che la genialità è come il coraggio, se uno non ce l’ha non se la può dare e questo evidentemente rode il fondo dell’anima: i due si sono azzuffati, Palmaroli ha risposto a brutto muso, la discussione si è spostata sui follower, chi ne ha di più, chi se li compra, affari loro, certo le lezioni di deontologia da Scanzi è roba che non si può sentire, sa tanto di mondo che si ribalta: non si deve, non sta bene, non si fa di partecipare a eventi elettorali? Palmaroli ha precisato che lo invitano tutti i partiti per ogni sorta di eventi e lui non è un giornalista, è un satirico, sia pure atipico: la categoria risulta per il 99% spalmata, più che schierata, a sinistra. Tanto è bastato per prendersi del “Fasho Osho”, che come calembour è fuori tempo già in terza media.
Selfie coi potenti
Questione di feeling e di limiti. Ma delle feste del giornale per cui si spreme (e partecipa) lo Scanzi, con tanto di red carpet all’attuale presidente del Consiglio, vogliamo parlarne? Dei selfie col Giuseppi, volumetto in mano contro il leader dell’opposizione, definito cazzaro, e, sotto, il consiglio per gli acquisti: comprate il mio libro? Peraltro, dedicato ai “cazzari del virus”, dopo che lui ci consigliava di continuare “a scopare”, perché il Covid “è un piccolo cazzo di raffreddore”? E vogliamo parlare degli altri selfie col Di Maio capo politico dei 5 Stelle che sponsorizza le prodezze artistiche dell’amico? Delle cene tutti insieme appassionatamente insieme a Veltroni, esponente dell’odiato, ma secondo il vento che tira, PD? Qualcuno se lo ricorda, lo Scanzi, partecipare in tenera età a eventi elettorali in quel d’Arezzo, ospite del candidato margheritino Giuseppe Fanfani, ma vai a sapere, magari sono solo pettegolezzi a livello portineria.
Liti calcolate
Apparentemente a casaccio: liti, fiotti, sparate sui social, in realtà sono accuratamente calcolati, servono a non far scemare l’attenzione – il personaggio come brand, in perenne autopromozione e a questo punto la faccenda da trascurabile si fa paradigmatica: non ha molto senso soffermarsi sulla inconsistenza stilistica o la piattezza analitica di uno, perché gli ex nuovi ragazzi dell’informazione sformata, deformata, quelli tra i 40 e i 50, sembrano un po’ tutti, o comunque troppi, come color che son sospesi, li leggi, li vedi e ti domandi: ma cosa è questo? Che più precisamente diventa: ma cosa è diventato questo mestiere? C’è chi parla di mutazione, chi di involuzione e chi di scomparsa del giornalismo; di sicuro c’è un travaso dall’informazione all’intrattenimento e ci sono molti rampanti, già un po’ in debito d’ossigeno (perché si possono ingannare tutti per poco o qualche per sempre, ma non si possono ingannare tutti per sempre), bravi a manipolare il mondo dello svago e dello svacco social.
C’è questo oscillare dai varietà del sabato sera al ruolo di coscienze civili che danno lezioni di etica e di deontologia. Ma la deontologia professionale esclude gli attacchi mirati, la delegittimazione personale, come quando si dà dal fascio o dello iettatore, e non prevede il disprezzo plateale per testate considerate eccentriche, non allineate alla propaganda governativa. La deontologia nutre dubbi anche quanto all’ibrido del comunicatore – giornalista non si usa più – che diventa pubblicitario di sé stesso; tutte minima immoralia complicate, forse inevitabili, forse irreversibili, dalle quali l’Ordine dei Giornalisti si tiene comprensibilmente alla larga, più preoccupato, come dice il suo presidente, di “rieducare Salvini”.
Cosa è diventato questo mestiere se tutti sono tutto: showmen, istrioni, guittini, grilli parlanti, capipopolo social (e qui sorgerebbe anche il problema di non eccitare la canea, scrupolo che nessuno si pone, tutt’altro)? Cosa, se i giornalisti, o comunicatori che dir li si voglia, hanno impresari, agenti che sono gli stessi dei cantanti, delle ballerine, perfino dei politici, per cui è loro lecito sparlare solo di quelli della scuderia avversa, forse pure in senso militante? Qualcuno ha fatto le pulci allo Scanzi moralista notando che la sua agenzia, VisVerbi, che si vanta di averlo letteralmente creato, gestisce tra gli altri anche i rapporti coi media dell’azienda di Casaleggio; secondo l’Espresso VisVervi agirebbe quasi come anello di congiunzione tra il Movimento 5 Stelle e il giornalismo collegato alla destra; poi si può discutere di dietrologie e complottismi, certo è che i personaggi targati VisVerbi, da Scanzi a Lucarelli, godono di una copertura mediatica, televisiva forsennata.
Giornalismo liquido
Sono queste, non le previsioni sballate, le analisi terra terra, le questioni che inducono a chiedersi di che giornalismo si stia parlando, e se sia ancora giornalismo o non piuttosto un ibrido, qualcosa di liquido, di inafferrabile. E non vale obiettare che anche nel passato i giornalisti nutrivano spiccate consuetudini a vario titolo con gli ambienti del potere: questo è fisiologico, certo, ma resistevano certi limiti, certi margini che impedivano una commistione così marcata. Limiti di comportamento, di stile anzitutto. Chi riesce a capire se dietro un attacco apparentemente strampalato non allignino ragioni del tutto lucide e non riferibili? Palmaroli-Osho ricorda quando con la sua satira puntava su Renzi e si era ritrovato in fama di eroe dalla scia chimica grillista che adesso, stante le nuove alleanze, lo maledice in fama di “fasho”. Sì, c’è un giornalismo, o quello che sia, che percepisce sé stesso come buono ma non esista a usare tutte le tecniche per la damnatio dal body shaming alla gogna aizzata; col solito trucco di accusare le vittime di fomentare odio.
Megalomania social
Infine la schiavitù dei follower, dei like, della proiezione pubblica: quanto può essere davvero libero, da sé stesso se non altro, uno che ad ogni rigo che spreme verifica l’impatto social e su quello inevitabilmente si sintonizza? Non sono questioni da poco, anche perché ingenerano nevrosi, megalomania, manie di persecuzione: a chi scrive è capitato di venire fastidiato da uno di questi dell’età di mezzo, dopo un tweet non particolarmente affettuoso: cose che tra colleghi dovrebbero essere scontate, ma il ragazzo insisteva, insisteva fino a che non ha dovuto capire che stava provocando la persona sbagliata, a suo rischio e pericolo: non tutti se la cavano con due sculaccioni in discoteca. Alla fine l’ha capito, ma erano anche le due di mattina, però.
Questo prendersi così sul serio recitando la parte dei saltimbanchi, questo giornalismo che è tutto e niente, che è tutti e nessuno, con la palettina in mano, con la foto a quattro zampe, al guinzaglio, sotto i tacchi a stiletto di una “collega”, che si parla addosso indulgendo in perversioni e feticismi, è difficile da capire, difficile da condividere. Forse non è più giornalismo, è qualcosa di nuovo, di geneticamente modificato, di lunare o forse solo figlio dei tempi ma insomma, di grazia, che cosa è?
Max Del Papa, 17 settembre 2020