Non pensavo che tanti commensali volessero, per lo più giovani o quasi giovani, partecipare al nostro dibattito sull’egemonia, non solo culturale, della sinistra. In tanti campi evidentemente la sinistra ha conquistato le casematte della cultura. Una vera rivoluzione liberale si potrà affermare, partendo dalla cultura, dalle nostre professioni. È tutto iniziato da una bella lettera di un giovane universitario. Poi ci ha scritto un giovanissimo attore. Molti di voi hanno commentato, numerosissimi hanno letto. Grazie a tutti: rendete viva questa pagina. E oggi la terza puntata arriva con questa bella lettera di un mio vecchio, ma giovane, amico che oggi lavora in radio.
Caro Nicola, non ricorderai ma i nostri destini si sono incrociati almeno in paio di occasioni: io facevo parte di Controcorrente Giovani, l’associazione che riuniva i giovani lettori del Giornale di Indro Montanelli, e alcune iniziative ci hanno visti insieme. Oggi siamo colleghi (tu carta stampata e tv, io radio…), sebbene naturalmente il sottoscritto sia molto meno autorevole e meno conosciuto. Ma ti ho sempre seguito e il dibattito che hai aperto sulla dittatura culturale della sinistra mi ha spinto a scrivere queste due righe. Sì, perché, tu lo sai meglio di me, essere un giornalista non di sinistra anche nel 2019 è pesante, difficile, faticoso, e spesso un ostacolo alla carriera. Per carità, il traguardo di lavorare nell’emittente radiofonica più importante e ascoltata in Italia è motivo di orgoglio e una medaglia sul petto, però questo non impedisce di evidenziare il clima generale dell’ambiente-comunicazione, che ho sempre vissuto e che continuo a vivere.
Berlusconi sostiene che l’85 per cento dei giornalisti è di sinistra, ed è una sacrosanta verità. Per il restante 15% ogni giorno ha la sua pena: il lunedì e martedì sei fascista, il mercoledì e giovedì razzista, il venerdì e sabato un pazzo violento, la domenica un criminale. Poi si ricomincia. Peccato che in tutto questo venga cancellato l’unico criterio che conta in un lavoro, qualsiasi esso sia: il merito. Se sei di sinistra sei bravo a prescindere, se sei di destra peggio per te comunque. E l’etichetta è immediata: prima berlusconiano, poi finiano, quindi salviniano… E invece i cari colleghi compagni dovrebbero semplicemente capire che si chiama libertà: a differenza di molti di loro, non ho tessere di partito, mai avute, e mai le avrò, cerco solo ragionare con la mia testa, e rivendico un’impronta storica, filosofica, culturale, politica liberale e di destra.
E non voglio tacere. Né essere ghettizzato. Si può dire che Trump ha fatto grandi cose, specie sul lato economico? Che Reagan è stato un grandissimo presidente? Si può dire che sull’Europa aveva ragione la Thatcher? Che la Brexit non è il male assoluto? Che sull’immigrazione Salvini ha mille ragioni? Che sovranista non è una parolaccia? Che Saviano non mi piace? Che se per Bibbiano deve valere – giustamente – il principio dell’estraneità del Pd perché la responsabilità penale è sempre personale, lo stesso però deve valere anche per Casapound se due militanti vengono accusati di stupro? Che ricordare in un cimitero i ‘propri’ morti degli Anni di Piombo con il saluto romano non è apologia di fascismo? Che molti magistrati hanno mischiato professione e convinzioni partitiche?
Ecco quest’ultimo è il vero nodo anche nel nostro settore: i giornalisti, tutti, vanno giudicati non per le teorie politiche, che possono essere giuste o sbagliate, ma per il lavoro e le sue modalità di svolgimento. Naturalmente in un pezzo di cronaca politica, si riportano le diverse posizioni, in un pezzo di analisi o di commento si può e si deve andare oltre, e in quel caso ci deve essere assoluta libertà. Pure di avere pensieri e riflessioni di destra. Sarebbe elementare ma nel nostro Paese ancora non lo è. E siamo nel 2019.
Alberto Ciapparoni, 25 luglio 2019
Ogni giorno noi italiani subiamo la dittatura culturale di sinistra