Il mio amico Tia, un ragazzo italiano che ha tanta voglia di fare e che tanto fa, ha deciso di prendersi una pausa. Così si fa. Non è una questione di poterselo permettere, è questione di volerlo. Quindici giorni solo lui, un paio di colleghi di avventura e la traversata atlantica in mare. In questo diario ci regala le sue sensazioni. Non siamo con lui in barca, ma ogni giorno è un po’ come se lo fossimo.
Prima di andare a letto, Lucas mi ha dato una mezza pastiglia per il mal di mare. Ha funzionato. Al risveglio, quando iniziamo il nostro turno di guardia, mi sento finalmente in forma. Le stelle brillano di nuovo nel cielo, e il mare si è calmato. Il nostro turno scorre tranquillo, in una ritrovata serenità.
All’alba, l’aliseo soffia con forza, spingendoci velocemente: navighiamo a 10 nodi, con punte a 14 mentre surfiamo sulle onde. Dopo due giorni di temporali, il sole è tornato, e finalmente possiamo goderci una giornata tranquilla. Le condizioni sono ideali: vento stabile intorno ai 25 nodi e onde che ci spingono da poppa. Tuttavia, le sonde per misurare il vento non sono ancora riparate; servirebbe salire in testa d’albero, ma con il mare mosso è impossibile.
- Giorno 1 – La traversata atlantica, un viaggio dentro se stessi
- Giorno 2 – La notte di guardia, nelle mani del vento
- Giorno 3 – Quando la tempesta ti viene incontro
- Giorno 4 – Qualcosa di grave sta accadendo: l’elettronica della nave è fuori uso
- Giorno 5 – Nel mezzo del nulla senza via di fuga. Da se stessi
- Giorno 6 – Quell’ombra nera tra le onde: la scoperta sorprendente
- Giorno 7 – Il maltempo è qui
- Giorno 8 – Il vento a 30 nodi, le onde di traverso: come si affronta la tempesta
- Giorno 9 – Siamo nel cuore di un temporale
Le nostre scorte iniziano a scarseggiare. La frutta e la verdura fresche sono finite, e ci resta solo cibo surgelato. La pesca non ha dato risultati, così mi metto in cambusa per improvvisare qualcosa. Trovo pomodori pelati, peperoncino, aglio e pasta: penne all’arrabbiata, un piatto semplice ma sempre vincente.
Dopo pranzo mi siedo nel pozzetto con Fred. Parliamo dei suoi progetti futuri. Il suo sogno è navigare nel Pacifico: partire da Panama, passare per le Galapagos, le Marchesi, la Polinesia e arrivare in Nuova Zelanda. Ha già attraversato l’Atlantico sedici volte, ma ora vuole scoprire il Pacifico.
Fred parla della sua barca come se fosse molto più di un semplice mezzo: è il suo rifugio, la sua casa, un’amica fidata. Quando dice “È la più bella,” lo fa con lo stesso orgoglio che un padre riserva alla sua figlia.
Anche Yves Parlier, il celebre navigatore francese, aveva un legame profondissimo con la sua barca. Durante i lunghi mesi trascorsi in solitaria a bordo, ci parlava come si farebbe con un amico fidato, al punto da darle un soprannome: “Kiki”. Credo che, alla fine, ogni armatore o capitano sviluppi un rapporto unico, quasi intimo, con la propria imbarcazione.
Io non sono né armatore né tanto meno capitano di questa barca, ma sento che in qualche modo mi ci sono già affezionato.