Il mio amico Tia, un ragazzo italiano che ha tanta voglia di fare e che tanto fa, ha deciso di prendersi una pausa. Così si fa. Non è una questione di poterselo permettere, è questione di volerlo. Quindici giorni solo lui, un paio di colleghi di avventura e la traversata atlantica in mare. In questo diario ci regala le sue sensazioni. Non siamo con lui in barca, ma ogni giorno è un po’ come se lo fossimo.
Quando siamo partiti da Capo Verde, io e Lucas abbiamo preso i biglietti aerei per il ritorno. Fred, con la sua sicurezza, ci aveva dato una stima precisa del nostro arrivo: “Martedì in giornata,” ci disse. E noi ci siamo fidati. Siamo a 400 miglia dalla Martinica, e per arrivare in tempo per il nostro volo tra due giorni, servirà più che una semplice spinta del vento: servirà un miracolo.
Navighiamo “veloci”, a una media di 9 nodi, coprendo 180 miglia al giorno con questo ritmo.
Se il vento continuerà a spingerci con questa forza, l’arrivo dovrebbe essere previsto tra le 12 e le 17 del 13esimo giorno di viaggio.
Leggi anche:
- Giorno 1 – La traversata atlantica, un viaggio dentro se stessi
- Giorno 2 – La notte di guardia, nelle mani del vento
- Giorno 3 – Quando la tempesta ti viene incontro
- Giorno 4 – Qualcosa di grave sta accadendo: l’elettronica della nave è fuori uso
- Giorno 5 – Nel mezzo del nulla senza via di fuga. Da se stessi
- Giorno 6 – Quell’ombra nera tra le onde: la scoperta sorprendente
- Giorno 7 – Il maltempo è qui
- Giorno 8 – Il vento a 30 nodi, le onde di traverso: come si affronta la tempesta
- Giorno 9 – Siamo nel cuore di un temporale
- Giorno 10 – Un legame speciale
Durante il nostro turno di guardia, gli occhi sono fissi sullo schermo di bordo. Lì possiamo vedere i dati fondamentali: velocità attuale, media, miglia restanti e stima delle ore mancanti alla destinazione. Il tempo stimato di arrivo oscilla continuamente, passando da 72 a 48 ore, a seconda della velocità momentanea della barca. In pratica, la precisione sull’orario di arrivo la avremo… solo quando saremo arrivati.
Nel frattempo, con calcolatrice alla mano, cerchiamo di fare qualche simulazione un po’ più precisa. È un modo per tenere la mente occupata, anche se sappiamo bene che saranno il mare e il vento a decidere per noi. In barca a vela sai sempre quando parti, ma il momento dell’arrivo resta un’incognita fino all’ultimo.
Non a caso, comprare i biglietti del volo prima di partire si sta rivelando tutt’altro che un’idea brillante.
La mia idea era quella di restare in Martinica al massimo una notte, non di più. Per me, questo viaggio non era mai stato una questione di destinazione. L’obiettivo non era il punto di arrivo, ma il viaggio stesso. Voglio rientrare subito a casa, portando con me un ricordo il più puro possibile di questa traversata, senza lasciare che il tempo lo offuschi o lo confonda con altro.
Fare una traversata oceanica è sempre stato uno dei miei sogni. Ora che l’ho praticamente completata, sono felice, ma anche malinconico. Quando realizzi un sogno, uno di quelli che hai cullato nella mente un milione di volte, che hai desiderato, immaginato, aspettato, succede qualcosa di strano. Sei felice, sì, ma anche triste, perché quel sogno non esiste più. È diventato realtà. E hai un sogno in meno nel cassetto.
La verità è che la bellezza dei sogni sta soprattutto nel percorso per realizzarli. È lì che vive la loro magia. Una volta che li hai raggiunti, si trasformano in ricordi meravigliosi, ma non sono più sogni. Non puoi più inseguirli, immaginarli, lavorare per raggiungerli. Il cammino si interrompe.
Credo che siano le passioni a dare vita ai sogni. Chi ha grandi passioni, o molte passioni, non smette mai di avere nuovi sogni da inseguire. È proprio questa ricerca, questo continuo guardare oltre, che dona significato e bellezza alla vita. I sogni, per me, sono il vero motore dell’esistenza.