Reportage

Giorno 3 – Quando la tempesta ti viene incontro

La traversata atlantica vissuta giorno per giorno. La lotta persa contro Mahi Mahi e la promessa del mare: il meglio, o il peggio, sta per arrivare

il diario di Tia

Il mio amico Tia, un ragazzo italiano che ha tanta voglia di fare e che tanto fa, ha deciso di prendersi una pausa. Così si fa. Non è una questione di poterselo permettere, è questione di volerlo. Quindici giorni solo lui, un paio di colleghi di avventura e la traversata atlantica in mare. In questo diario ci regala le sue sensazioni. Non siamo con lui in barca, ma ogni giorno è un po’ come se lo fossimo.


Sono riuscito finalmente a riposare.

Non ho nemmeno messo i tappi per le orecchie, tanto non servono a nulla, e ho deciso che valeva la pena dormire (un po’) più comodo. Il rumore incessante del mare che si accanisce sulla barca, ora comincia a diventarmi familiare. Quasi mi culla. Mi fa pensare a chi si addormenta con il rumore del phon per sentirsi meno solo, come se avesse una compagnia calda, discreta e rassicurante.

Io e Lucas iniziamo il nostro turno di guardia. Il mare è calmo. Stiamo navigando a motore, e l’unica cosa da monitorare è l’AIS. Non dobbiamo preoccuparci delle vele, ora ammainate e dormienti, né del vento, che è completamente assente.

GIORNO 1 – La traversata atlantica, un viaggio dentro se stessi

Abbiamo deciso di mettere la prua leggermente più a sud (175 gradi), nella speranza di trovare un po’ di vento, ma anche per metterci in una posizione più riparata. Mercoledì e giovedì, infatti, il bollettino annuncia mare grosso, e scendere di latitudine potrebbe regalarci onde più stanche. Compilo il diario di bordo e andiamo a letto.

Al nostro risveglio, il motore tace.

Finalmente, si sente solo il suono delle vele che si tendono al vento. Il cambio di rotta ha funzionato: 17 nodi di vento, 8,5 nodi di velocità. Non male. Possiamo tornare a navigare come si deve, seguendo le regole del mare.

Per pranzo, io e Lucas torniamo ai fornelli.

Non siamo certo chef esperti, ma rispetto agli altri aspiranti cuochi di bordo, riusciamo a mettere in tavola qualcosa di decisamente più apprezzabile. Il menù del giorno? Wrap di pollo con formaggio, in stile messicano. Che poi, a dirla tutta, di messicano hanno solo la tortilla. Ma poco importa. A tavola regna il silenzio. È il segno inequivocabile di un piatto riuscito. ¡Vamos!

Decisamente, ci sono molte più cose in comune tra la superficie e il mondo subacqueo di quanto si possa immaginare. Prendiamo, ad esempio, l’ora di pranzo: sembra essere la stessa per noi umani e per i pesci. Ancora una volta, mentre siamo a tavola, il mulinello della canna da pesca inizia a cantare. E, guarda caso, succede sempre quando siamo io e Lucas ai fornelli.

Giorno 2 – La notte di guardia, nelle mani del vento

Questa volta, Fred mi porge la canna da pesca. Lo fa con un gesto solenne, come un cavaliere che consegna la spada a un giovane apprendista. Dopo la canna mi allaccia intorno ai fianchi la “cintura da combattimento”. Questa cintura serve per sostenere la canna da pesca durante la lotta con pesci di grandi dimensioni, distribuendo il peso e riducendo la fatica. È dotata di un supporto dove si inserisce il calcio della canna, permettendo di avere maggiore stabilità e forza durante il recupero. “Adesso tocca a te.” Mi dice. Perfetto. Piccolo problema: l’unico ricordo che ho di pesca risale al luna park, quando prendevo al volo le piccole paperelle gialle di plastica.

Inizio a recuperare, ma il mio avversario di oggi si rivela decisamente più ostinato delle mie vecchie conquiste. La lenza è lunga, la battaglia sarà dura. Sono seduto a poppa, mi inclino all’indietro per stancarlo, e in avanti per recuperare terreno, un giro alla volta. Lo vediamo in lontananza, il pesce. Surfa sulle onde, grosso e potente. Capisco perché mi stia facendo sudare così tanto.

I miei compagni si radunano alle mie spalle, a fare il tifo. Un po’ per me, ma soprattutto per la promessa di una cena fresca e deliziosa. Recupero lentamente, giro dopo giro. Il pesce si avvicina, ora è a pochi metri dalla poppa. È un altro Mahi Mahi, ma decisamente più grosso di quello preso due giorni fa. Dopo venti minuti di lotta è finalmente quasi fatta. La cena sembra servita. Do l’ultimo giro di mulinello, tiro su la lenza, ma… sull’amo non c’è più nulla.

All’ultimo istante, il mio avversario vince la battaglia. È riuscito a liberarsi. I miei compagni spengono le macchine fotografiche, pronte a immortalare l’exploit del giorno. Rimango lì, seduto, colante di sudore e con il fiato corto, come un pugile nel suo angolo dopo un KO.

Una versione giovane e disillusa del vecchio e il mare, senza il romanticismo, ma con la stessa fatica.

Le previsioni per i prossimi giorni si confermano tutt’altro che rassicuranti. Si attendono onde alte da 3 a 5 metri tra mercoledì e giovedì. Il comandante decide di modificare nuovamente la rotta, questa volta dirigendoci più a nord. La tempesta ci sta venendo incontro, e non possiamo fare nulla per evitarla. Tanto vale affrontarla al meglio, con le onde a poppa, una scelta che dovrebbe garantire maggiore stabilità alla barca.

Il vento ci spinge con decisione, mantenendo una media di 8,5 nodi. Siamo avanzati così rapidamente che abbiamo già raggiunto il 32° meridiano, guadagnando un’ora sul nostro orologio.

Il tempo scorre al ritmo del mare, e mentre aggiustiamo i nostri orologi, sembra quasi che l’oceano ci regali un’ora di respiro in più, come a dire: “Preparatevi, il meglio – e forse anche il peggio – deve ancora arrivare.”