Il mio amico Tia, un ragazzo italiano che ha tanta voglia di fare e che tanto fa, ha deciso di prendersi una pausa. Così si fa. Non è una questione di poterselo permettere, è questione di volerlo. Quindici giorni solo lui, un paio di colleghi di avventura e la traversata atlantica in mare. In questo diario ci regala le sue sensazioni. Non siamo con lui in barca, ma ogni giorno è un po’ come se lo fossimo.
Giorno 7
A quanto pare, abbiamo ricevuto una visita nella nostra cabina durante la notte, ma né Lucas né io ce ne siamo accorti.
Un tubo collegato al boiler dell’acqua calda a babordo ha ceduto, causando una perdita che ha svuotato completamente il serbatoio di acqua dolce da 400 litri. L’acqua fuoriuscita ha allagato parzialmente una delle stive, costringendo le pompe di sentina ad entrare in funzione per evacuare il liquido in eccesso. In silenzio, delle mani invisibili e precise sono scese nella stiva sotto il nostro bagno. Hanno chiuso l’arrivo dell’acqua per tutto lo scafo di babordo, lasciando asciutte la nostra cabina, la cucina e la cabina dell’equipaggio posizionata a prua. Un piccolo gesto che ha evitato guai peggiori.
Nel frattempo, abbiamo raggiunto il 39° meridiano e, come da tradizione, abbiamo portato indietro di un’altra ora i nostri orologi. Questo sarà il mio primo viaggio transatlantico in cui non soffrirò il fuso orario all’arrivo: è come se il tempo ci stesse accompagnando, lentamente, verso la nostra destinazione.
Le altre puntate:
- Giorno 1 – La traversata atlantica, un viaggio dentro se stessi
- Giorno 2 – La notte di guardia, nelle mani del vento
- Giorno 3 – Quando la tempesta ti viene incontro
- Giorno 4 – Qualcosa di grave sta accadendo: l’elettronica della nave è fuori uso
- Giorno 5 – Nel mezzo del nulla senza via di fuga. Da se stessi
- Giorno 6 – Quell’ombra nera tra le onde: la scoperta sorprendente
Finalmente, durante il nostro turno di guardia, ci siamo goduti la prima alba. Le stelle, una a una, hanno iniziato a spegnersi, mentre l’orizzonte a est si tingeva lentamente di rosso. I primi raggi di luce hanno illuminato il cielo, e il sole è sorto rapidamente, come se avesse fretta di scaldarci.
La mattinata, però, è dedicata a risolvere il problema del famoso tubo che ci ha lasciati senz’acqua. Solleviamo due lastre del pavimento del nostro bagno, e Fred scende nella stiva, armato di lampada frontale, cacciavite e altri strumenti. Con pazienza e determinazione, cerca di riparare il danno. In questi momenti, la barca diventa un piccolo mondo dove tutto è essenziale, e ogni problema richiede ingegno, calma e un pizzico di fortuna. Dopo una trentina di minuti, il problema è risolto: i desalinizzatori riprendono a funzionare e possiamo ricominciare a produrre acqua dolce. Un’altra piccola emergenza superata.
Nel frattempo, il Backgammon è diventato il passatempo ufficiale dell’equipaggio. C’è solo un set a bordo, piccolo e di legno, che va prenotato con largo anticipo, un po’ come i campi da paddle a Milano. Chi non riesce a giocare si allena sui tablet. Ho pensato quindi di organizzare la Coppa del Mondo Atlantica di Backgammon con otto partecipanti. Ho piegato un foglio di carta, scritto i nomi e li ho messi in un sacchetto di tessuto verde per il sorteggio.
Dopo aver preparato un’amatriciana per pranzo insieme a Lucas, procediamo con l’estrazione. Il mio quarto di finale mi vede affrontare una ragazza a cui avevo insegnato a giocare solo tre giorni fa. Si gioca fino a undici punti. Vince lei, 11 a 8. Il mio torneo finisce subito. Lei, però, arriva in finale e alza la coppa. Un fallimento come giocatore, ma almeno come insegnante posso consolarmi.
Per distrarmi dalla sconfitta, decido che è il momento giusto per onorare la tradizione: il bagno a metà traversata. Chiedo a Fred il permesso e lui acconsente: “Va bene, ma dobbiamo fare in fretta. Il vento sta per aumentare”. Corro in cabina, mi infilo il costume, e anche Lucas decide di unirsi. Nelle sue precedenti traversate non era riuscito a rispettare questa tradizione: la prima volta era in regata e fermarsi non era possibile, la seconda semplicemente se n’era “dimenticato”.
Siamo pronti. Alla poppa della barca, Fred lega una cima con un salvagente, una precauzione necessaria: il mare è mosso e le correnti sono forti. Le coordinate segnano N 17°05.820’ W 42°33.924’, il punto esatto in cui ci tuffiamo. L’acqua è calda, 27 gradi, ma sotto di noi si estendono 4500 metri di oceano e i suoi misteri. Non è un bagno per rilassarsi. Restiamo immersi solo pochi secondi prima di risalire rapidamente, con il pensiero dello squalo avvistato ieri ancora vivo nella mia mente.
È stato breve, ma sufficiente. La tradizione è rispettata. Ho fatto il bagno a metà traversata, un piccolo rito che segna il passaggio da una parte all’altra dell’Atlantico.
Al tramonto, il tempo cambia rapidamente. Attorno a noi iniziano a vedersi scrosci di pioggia, con tende d’acqua visibili in lontananza. Le nuvole, scure e cariche di pioggia, si avvicinano velocemente, e il mare cambia colore, diventando di un viola intenso. Le raffiche di vento disegnano sulla superficie dell’acqua strisce argentate, mentre il sole tramonta lasciando solo una sottile linea rosso fuoco tra l’orizzonte e le nuvole minacciose.
Fred ci avverte: dobbiamo cercare di evitare queste nuvole. Sotto di esse, le raffiche di vento possono arrivare fino a 60 nodi. Se non ci riusciamo, dovremo ammainare le vele e affrontare il maltempo aspettando che passi.
In pochi minuti, però, le nuvole ci raggiungono. Ammainiamo rapidamente il gennaker, spieghiamo la trinchetta e riduciamo due mani di terzaroli per gestire meglio la randa. Il vento reale è ormai costante a 30 nodi, con raffiche che toccano i 35-40 nodi.
Il buio scende su di noi insieme al vento e alla pioggia. Il maltempo è qui, e sappiamo che la notte sarà lunga e impegnativa.