Ieri era il Giorno della Memoria, e, come accade ogni anno, moltissimi – politici, commentatori, personalità – hanno condiviso riflessioni non di rado profonde, interessanti, acute.
Sono però mancate all’appello due piccole osservazioni, eppure – a mio modo di vedere – decisive, perfino rivelatrici.
La prima: il doveroso ricordo degli ebrei morti non dovrebbe farci dimenticare la necessità di proteggere gli ebrei vivi. Mi spiego: che senso ha commuoversi (giustamente) al ricordo della persecuzione nazista, salvo voltare le spalle e lo sguardo quando un regime (oggi, mica settant’anni fa) dichiara esplicitamente di voler cancellare Israele dalla faccia della terra? È il caso dell’Iran fondamentalista: che non cessa di progettare l’arma nucleare, di fomentare attentati, e perfino di indottrinare generazioni di ragazzini e ragazzine con carte geografiche in cui Israele non c’è, non c’è più, non ci “deve” essere.
È curioso che alcune delle personalità che ieri hanno versato calde lacrime siano state fautrici di dialoghi serrati (e a volte assai opachi) con Teheran. Ed è una schizofrenia inaccettabile: il 27 gennaio ci si commuove sul passato, dal 28 si riprende come prima…
Seconda osservazione: è semplicemente inqualificabile il parallelo che – non solo da sinistra – viene fatto tra la Shoah e la questione immigrazione. Duole dover ricordare nozioni perfino elementari: ogni nazione ha diritto di fissare regole in materia di immigrazione, che ovviamente si possono condividere o no. Ma scagliare accuse di “nazismo” contro chi la pensa diversamente è totalmente inaccettabile. Serve solo a distogliere l’attenzione dai trafficanti di esseri umani, che non hanno alcuno scrupolo, perfino in pieno inverno e con il mare in tempesta, nel far salire donne e uomini su barche destinate a rischi fatali.
Daniele Capezzone, 28 gennaio 2019