Società

Giovani senza più Dio, patria e famiglia

Dopo gli ultimi tragici episodi di cronaca, il tema della degenerazione dei giovani deve entrare nell’agenda politica

© Jimmy Chan, PeerCreative e Lipik Stock Media tramite Canva.com

Ma i giovani, ce li siamo giocati? L’agenda delle destre, in particolare quelle anglosassoni, si interroga sulla sopravvivenza dei valori morali e civili tradizionali, sull’uomo occidentale e sulle terribili ricadute che questi temi possono avere nell’educazione dei giovani. La chiamano ideologia DIE-Diversità, Inclusività, Equità, ed è proprio su questi argomenti, anche per motivi personali, che Elon Musk intende dialogare con Giorgia Meloni, sua ospite il 23 settembre a New York, dove le consegnerà il Global Citizen Award.

In quell’occasione, il tycoon, consapevole del turbamento causato nella premier dai troppi recenti tragici fatti di cronaca italiana – da Paderno Dugnano e Gagliole, spaventosi “oltre l’immaginazione”, all’accoltellamento fatale di Fallou Sall da parte di un coetaneo minorenne quando l’assurdo omicidio di Sharon Verzeni è ancora nelle nostre menti – sta provando ad organizzarle un incontro con lo psicologo canadese Jordan Peterson. L’appuntamento era già in agenda a Roma, ma poi è saltato. Musk e Peterson all’unisono, controbattono agli “obblighi” della DIE sostenendo che il pensiero politicamente corretto crea conseguenze grottesche: basti pensare alle quote riservate alle minoranze in quanto tali, a prescindere dal merito.

La loro linea è recuperare l’importanza dei valori e principi tradizionali, come la responsabilità individuale, il ruolo centrale della famiglia e la salvaguardia delle gerarchie sociali naturali. Peterson, in particolare, critica il relativismo culturale e il declino delle strutture morali occidentali, che considera tra le cause principali della crisi identitaria dell’Occidente. Si oppone, inoltre, agli eccessi della sinistra progressista, come la cancel culture e la gender ideology. Temi di cui Musk ha esperienza diretta, avendo un figlio, Xavier, al secolo Vivian, che ha completato la transizione da uomo a donna e ha disconosciuto il padre proprio a causa delle posizioni di quest’ultimo sull’argomento.

In Europa assistiamo a un caos giovanile che si traduce in disordine e violenza: una generazione di giovani cresciuti con videogiochi impregnati di cultura della morte e della violenza, e con una capacità di acquisire ‘valori’ attraverso la rete che li pone molto più avanti rispetto ai loro genitori, i quali non riescono né a seguirli né a comprenderli. L’immaturità degli adolescenti e, quindi, le loro fragilità non sono state accolte né protette dalla società negli ultimi venticinque anni. Una società improntata unicamente alla performance e al successo ha paralizzato i più giovani, isolandoli e abbandonandoli alla ricerca di un piacere effimero, che però produce in loro una profonda aggressività e comportamenti antisociali. I fragili adolescenti di venticinque anni fa, oggi sono genitori deboli che abbandonano i loro figli davanti ad un device per ore.

Gli studi fotografano un quadro desolante: gli adulti delle ultime generazioni non sanno come affrontare la situazione, essendosi persi nelle medesime dinamiche dei loro figli. Il risultato? Una società che lascia all’odio e alla violenza l’unica possibilità di esistenza e di reazione degli adolescenti. I progressi della scienza e della tecnologia hanno trasformato la società civile e le comunità, rendendole sempre più digitali e iperconnesse, ma sempre meno umane, creando nuovi modelli cognitivi con un divario abnorme tra generazioni e la rarefazione delle relazioni interpersonali reali. Così, oggi ci troviamo di fronte al rischio di nuove forme di dipendenza che non riguardano solo l’assunzione di sostanze (alcol, droghe).

Tra queste: la dipendenza da nuove tecnologie (Internet, social network, gaming) e dal sempreverde gioco d’azzardo, oggi evolutosi. Alcune di queste ‘addictions’ risultano socialmente accettabili, ma possono sfuggire al controllo dell’individuo. I lavori pionieristici, nel 1996, di Kimberly Young “Internet addiction. The emergence of a new clinical disorder” e poi di e Mark Griffiths (1998, 2000) furono i primi a proporre una definizione di “utilizzo problematico di Internet” o “dipendenza da Internet”, definendo la patologia come l’insieme di preoccupazioni, impulsi e comportamenti eccessivi o scarsamente controllati legati all’uso della rete, che creano alterazioni comportamentali o stressanti. Non meno preoccupante la dipendenza dai videogiochi, soprattutto per la giovane età degli utenti. Nel 2023, in Italia il fenomeno ha registrato un giro d’affari di oltre 2,3 miliardi di euro, con una crescita del 5% rispetto all’anno precedente. Ciò colloca l’Italia tra i primi cinque mercati europei del settore.

I bambini e gli adolescenti crescono con il “culto” della violenza: vince chi virtualmente ammazza o accoltella di più e il contesto socio-educativo fornito dalla famiglia e dalla scuola non riesce più ad intercettare le loro inquietudini. I videogiochi, pregni di velocità, suoni che stordiscono e aggressività, offrono una gratificazione simile ad una terapia antidepressiva – senza bisogno di ricorrere a sostanze chimiche – che genera dipendenza. L’assenza di luoghi e strutture di accoglienza, aggregazione e accompagnamento ha progressivamente portato all’isolamento e alla disintegrazione delle relazioni nel mondo reale. Negli ultimi venticinque anni, la società non ha saputo educare gli adolescenti a superare le proprie fragilità e debolezze, aumentando il loro senso di isolamento riempito solo dalla “tecnologia”, un piacere effimero che non li prepara alla vita adulta “vera”.

Chissà se la Meloni – che vuole lasciare a Ginevra un mondo da ripensare – rientrando dagli Usa metterà nella sua agenda soluzioni per questa generazione “alpha”, la prima totalmente nativa digitale, ancor di più della generazione Z, che è già sfuggita di mano a tutti, genitori e nonni. In questo caso, il gioco vale davvero la candela.

Luigi Bisignani per Il Tempo 8 settembre 2024

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