Giovanna Pedretti è morta. È probabile che si tratti di suicidio. La triste vicenda è nota: prima esaltata per la sua ferma presa di posizione contro un cliente che per iscritto si sarebbe lamentato perché nel suo locale ci sarebbero omosessuali e disabili e poi messa alla gogna perché lei stessa, a quanto sembrerebbe, sarebbe l’autrice di quel messaggio a cui avrebbe poi risposto – possiamo presumere – per fare un po’ di pubblicità a costo zero ad un locale “politicamente corretto”.
Qualcosa però non ha funzionato e la povera Giovanna è finita nel tritacarne mediatico. Da quel momento la donna non ha avuto più pace e il peso deve essere stato troppo grande da sopportare, tanto da decidere di farla finita. La pubblicità a costo zero le è costata la vita. Possiamo ora solo pregare e sperare nella misericordia di Dio (per chi ci crede).
Due brevissime considerazioni. Una filosofica e una giuridica.
Prima considerazione. Giovanna è stata vittima di quel “politicamente corretto” che l’avrebbe spinta, a quanto pare, a fare tutta da sola: il cliente razzista e la ristoratrice antirazzista. Se ha fatto questo ha ovviamente sbagliato, ma meritava per questo di morire? Meritava di essere trattata come è stata trattata o non sarebbe stato più intelligente interrogarsi sulle assurdità a cui può spingersi “il politicamente corretto”?
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Seconda considerazione. La magistratura non può non tener conto del fatto che nel nostro codice penale c’è ancora l’articolo 580 che riguarda l’istigazione al suicidio. E se l’autopsia dovesse confermare il suicidio, questa ipotesi di reato andrebbe indagata. Una persona debole ha deciso di farla finita per il modo in cui è stata trattata.
Paolo Becchi, 16 gennaio 2023
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