No al regime sanitario del virologo-legislatore

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L’emergenza coronavirus ha confermato una tendenza in atto già da tempo che si è concretizzata in tutta la sua drammaticità durante questi mesi: il fallimento della politica. La stagione della post ideologia ha lasciato spazio all’epoca della post politica che si concretizza nel superamento delle modalità di esercizio del potere vigenti nel secolo scorso. Senza dubbio, come spiega Guerino Nuccio Bovalino nel suo libro Imagocrazia, siamo entrati in un periodo storico in cui le immagini e la comunicazione influenzano il dibattito politico a discapito delle idee e dei valori.

Ma c’è un elemento ancora più grave emerso durante la pandemia: la politica non è più in grado di prendere decisioni e preferisce delegare le proprie funzioni ad altri attori tra cui l’assunzione di responsabilità. Avviene così il trionfo della tecnocrazia in cui la tecnica si sostituisce alla politica che ha sempre meno capacità di incidere e il parlamento perde di centralità, sostituito da nuovi poteri. In tal senso le decisioni non si prendono più nei luoghi simbolo della democrazia ma subentrano nuovi organismi come le task force composte da tecnici e da esperti. A parte il fatto che le task force già di per sé dovrebbero esistere nei singoli ministeri, è necessario interrogarsi sul ruolo che svolgono poiché il compito dei tecnici e degli esperti non è quello di sostituirsi alla politica ma di consigliare e suggerire, offrire una molteplicità di punti di vista e posizioni per aiutare a prendere le decisioni in quanto la parola finale e la responsabilità spetta proprio alla politica.

Con il coronavirus invece la scienza e i virologi si sono sostituiti alla politica non solo suggerendo modus operandi e comportamenti da adottare ma dettando l’agenda a suon di annunci, dichiarazioni, smentite, polemiche, allarmismi puntualmente avvenuti a mezzo stampa, diventando essi stessi la politica. Il dubbio che talune dichiarazioni avvenute con tempismo quantomeno inusuale avessero finalità politiche, era venuto a tanti cittadini ma ora arriva la conferma.

Il virologo Pierluigi Lopalco ha dichiarato che si candiderà alle elezioni regionali in Puglia con il centrosinistra a sostegno di Michele Emiliano. Non ci sarebbe nulla di male per un esponente della società civile a scendere in campo ma se si è a capo della task force anti-covid della regione Puglia che rappresenta tutti i cittadini e si utilizza la visibilità mediatica ottenuta in questi mesi su un tema delicato come la salute per una finalità politica personale, allora la questione cambia.

Se legalmente lo può fare, eticamente è una scelta che lascia senza parole perché non stiamo parlando di un professionista qualsiasi ma di un epidemiologico che ha svolto un ruolo di primo piano durante la pandemia e, se come lui stesso sostiene pubblicamente, il virus è ancora in circolazione e pericoloso, la scelta di candidarsi mina l’immagine di esperto super partes fondamentale in un settore delicato come la salute.

È lecito che un professionista abbia proprie idee politiche ma c’è una questione di opportunità, di forma che diventa sostanza in un momento delicato come quello attuale per cui, chi per la professione che svolge ha un dovere etico e professionale verso i cittadini, dovrebbe capire che candidarsi è una scelta fuori luogo.

Francesco Giubilei, 16 luglio 2020

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