Può ben darsi – e noi ce lo auguriamo – che il gip di Roma archivi le accuse di violenza sessuale nei confronti dei giornalisti Sara Giudice e Nello Trocchia. Comunque vada a finire, però, la loro disavventura ha prodotto un miracolo: forse per la prima volta – se non è la prima, comunque non capita spesso – il giornale meno garantista d’Italia, Il Fatto Quotidiano, ha dedicato due pagine ad ascoltare la versione di una persona indagata. L’ha fatto tramite l’intervista di una Selvaggia Lucarelli insolitamente condiscendente alla collega, in procinto di passare da La7 alla Rai.
Nel corso del dialogo, è avvenuto il secondo miracolo: abbiamo scoperto finalmente che le denunce di una presunta vittima di stupro possono non essere vere. Che la percezione di un abuso può non equivalere a un abuso vero. Che il “pentimento” – come lo chiama la Giudice – per essersi concesse a un partner, o a due partner, non significa che quel partner debba essere condannato. Lo sottolineiamo, perché quegli stessi maitre a penser oggi così teneri con i colleghi, per anni, invece, hanno cavalcato il giustizialismo sessuale del Metoo. Per anni, ci hanno spiegato che “no means no”: “no significa no”, sempre e comunque, senza attenuanti né giustificazioni. Giustamente, eh.
Ora, però, scopriamo – stiamo citando sempre l’intervista alla reporter di Piazzapulita – che a volte può verificarsi semplicemente una “crisi di conformismo”. Per la serie: non è che siamo noi ad aver forzato la mano; era la ragazza a essere un po’ troppo bigotta per stare al gioco. Gioco che, sempre stando alla ricostruzione dell’indagata, avrebbe iniziato la stessa sedicente vittima. Può essere. Noi ci auguriamo che sia così. E siamo sicuri che, da oggi in poi, i protagonisti di questa triste storia, di fronte a ogni strana accusa di stupro, si lasceranno provocare dal dubbio: sarà stata davvero violenza, oppure era una “crisi di conformismo”?
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