I fatti sono fatti. E noi siamo ben contenti di aver applicato a Sara Giudice e a Nello Trocchia lo stesso identico trattamento garantito a tutti gli altri indagati per stupro o qualsiasi altro reato: bisogna sempre dare il giusto peso alle denunce di chi sostiene di aver subito una violenza sessuale, indagando a fondo, ma senza allo stesso tempo rovinare la vita ai presunti abusatori che fino a prova contraria restano innocenti. Il rischio, altrimenti, è quello di rovinare loro la vita ancor prima che un pm e un gip disponga magari l’archiviazione. Come in questo caso.
Dunque ben venga che il giornalista del Domani e l’ex inviata di PiazzaPulita, fatta fuori nel frattempo dalla Rai, siano stati scagionati. Però il vittimismo che trapela dall’intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera è un tantino esagerato. Rabbia comprensibile, sia chiaro. Ma nel Paese in cui ogni indagine si trasforma in una condanna senza appello e ogni sospetto in crimine efferato, denunciare la “mostrificazione di alcuni giornali” dopo aver taciuto su tanti altri casi è fuori luogo.
Il giudice nell’ordinanza scrive che la sera di quel 29 gennaio del 2023, quando Trocchia, Giudice e la ragazza tornarono a casa insieme in taxi, ci furono “atti di natura sessuale consistiti in baci” ed erano tutti ubriachi, ma le effusioni “non sono stati compiuti con violenza fisica o minaccia, circostanza questa esclusa dalla stessa parte offesa e confermata dalle dichiarazioni del tassista”. Insomma: la presunta vittima, al di là di quello che aveva percepito, aveva bevuto “volontariamente” e “l’eventuale condizione di inferiorità” non sarebbe quindi “imputabile agli indagati”. Inoltre non ci sarebbe stata una condizione di stordimento tale da impedirle, in caso, di reagire. Sul Ghb che la vittima riteneva di aver assunto per colpa di non si sa chi, invece, “non sarebbe comunque riconducibile agli indagati”.
Tutti felici, insomma, a parte la presunta vittima. Trocchia e Giudice sono convinti si sia inventata di sana pianta “una falsa denuncia” piena di “contraddizioni” che rischia di “appannare la battaglia contro la violenza sulle donne”, anche se – ci insegnavano le femministe – sarebbe sempre meglio non giudicare la reazione di una presunta vittima a certe situazioni comunque borderline. Quello che proprio non si può accettare, dicevamo all’inizio, è il vittimismo dei due indagati. Perché chi oggi lamenta “attacchi violenti e ingiustificati” o parla di “mostrificazione” lavora o lavorava per giornali che in questo sistema – a differenza nostra – hanno sguazzato alla grande. Facciamo giusto qualche esempio?
Il Domani qualche tempo fa scriveva che “quando la vittima ha bevuto l’alcol”, volontariamente o meno, “è sempre un’aggravante”. “Nei processi per stupro il consumo di alcolici a volte viene usato come elemento per dubitare della donna – scriveva Andrea Casadio – Ma è un genere di domande che, oltre a risultare crudele, ignora gli effetti neuroscientifici di queste sostanze”. O ancora: quando Leonardo La Russa venne accusato di abusi sessuali, Il Domani e PiazzaPulita non attesero neppure un momento prima di emettere la loro sentenza di condanna. Citiamo alcuni articoli a caso: “Caro La Russa, anche un padre può condannare uno stupro“; “Caso La Russa. Ai ragazzi serve educazione al consenso, non ‘ceffoni’ in famiglia“. A cui si aggiungeva il pezzo del conduttore di PiazzaPulita, Corrado Formigli, che puntava il dito contro La Russa padre “impelagato nella vicenda del figlio Leonardo Apache” e colpevole “all’indomani della denuncia della ragazza” di averla “attaccata per aver sniffato cocaina” e di aver “assolto il figlio in via diretta e senza dibattimento, dopo averlo ‘interrogato’”.
La verità è che se un’accusa simile avesse anche solo sfiorato un giornalista “di destra” o un politico della maggioranza, i colleghi di Sara Giudice e Nello Trocchia, che sono stati così delicati nel trattare la loro vicenda, avrebbero usato il manganello giudiziario e del #MeToo come fatto in altri casi simili (ricordate Fausto Brizzi?). Siamo certi che da oggi in poi, quando uscirà un nuovo caso Ciro Grillo o La Russa, i due cronisti chiederanno ai loro colleghi di utilizzare lo stesso principio garantista che noi abbiamo assicurato a loro. Ma che spesso i giornali si dimenticano di applicare.
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