In un Paese come il nostro, dove il malaffare è tanto diffuso da assumere i tratti di un costume nazionale, i magistrati vengono sovente mitizzati. Alcuni addirittura sono considerati eroi, salvatori della patria, portatori di giustizia e ordine nel magma caotico e a volte putrido della vita pubblica. Da Tangentopoli in poi la magistratura ha vissuto una idealizzazione che non sembra avere eguali in nessun altro Paese del mondo. Forse solo nei narco-stati come Messico o Colombia i giudici sono così profondamente venerati.
La venerazione assume spesso però tratti grotteschi, specie quando questa categoria svicola dal proprio mandato originario. In un saggio forse dimenticato dal titolo Il potere dei giudici. Stato democratico e il controllo della virtù, il sociologo Alessandro Pizzorno evidenzia come la magistratura in Italia abbia da molti anni ormai “corrotto” il suo fondamentale ruolo sociale, estendendo il raggio d’azione anche ben oltre la propria competenza. Il potere giudiziario si arroga, egli sostiene, il “controllo di virtù” degli atti della politica, ossia esprime molto spesso giudizi, a volte seguiti da azioni concrete, sull’agire politico e sulle iniziative del potere esecutivo. Sovente anche in via preventiva.
Le critiche espresse dal presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati sulla riforma costituzionale ipotizzata dal governo Meloni ne sono la prova più recente. Tutta la parabola berlusconiana è un esempio di come il potere giudiziario abbia, nei fatti, sostituito l’opposizione politica, operando un sistematico attacco ad una figura apicale del governo italiano e dunque, indirettamente, alle fondamenta della democrazia stessa. La debolezza dei partiti fa sì che corpi estranei alla politica (sindacati, associazioni di categoria, intellettuali, media) si assumano il compito di svolgere la reale opposizione all’avversario politico di quel periodo.
Scrive infatti Pizzorno nel suo saggio: “Quanto più debole è il controllo dell’opposizione sull’attività del governo e della maggioranza, tanto più grande sarà l’aspettativa che qualche altra istituzione eserciti il controllo di virtù”. Tuttavia quando tale deviazione coinvolge la magistratura il risultato è pericolosissimo ed inquietante. Il processo a Matteo Salvini nei giorni in cui era ministro dell’Interno con l’accusa di sequestro di persona è un altro esempio dei dirompenti effetti sulla vita democratica che questa deriva può comportare. I magistrati non solo applicano (e disapplicano) la legge, ma ne giudicano la correttezza morale in base a criteri del tutto personali, come il caso del giudice di Catania mostra in modo evidente.
In questo modo il patto costituzionale che si basa sulla separazione dei poteri si incrina. La democrazia ne esce sempre più debole, sfigurata, minata alle sue fondamenta. Che il potere giudiziario divenga il garante della virtù dell’esecutivo è qualcosa di talmente distopico da non poter essere tollerato. Eppure, in un Paese come il nostro, accade. Questo perché prevale, come scritto splendidamente da Giulio Sapelli, una “antropologia negativa” all’interno della vita pubblica italica. Tradotto: tutti ladri!
Le eco degli sconci berci grillini su questo tema ancora si odono come in un vivido incubo. Non a caso essi fecero di Piercamillo Davigo la loro icona di riferimento. Complice di questo è anche, non dimentichiamolo, un certo giornalismo forcaiolo, velenosissimo e sempre pronto ad illuminare solo gli aspetti più turpi della politica per qualche copia (o click) in più. In questo modo il principio di rappresentatività viene delegittimato e i giudici divengono i veri paladini del giusto e del buono, pronti ad usare il loro potere inarginato per anteporsi al potere esecutivo da cui dovrebbero invece tenersi ben alla larga e così minando la rappresentanza democratica alla sua stessa base.
L’anomia partitica, malattia di questa fase storica, non può essere curata con l’attivismo giudiziario. Anche negli Usa non sono immuni a questa deriva; Trump ne sa qualcosa. L’elezione del prossimo presidente americano sarà decisa, indirettamente, dall’attività della magistratura contro Donald Trump e dall’esito dei processi a suo carico. Se da par nostro ci illudiamo che una società dove sono i magistrati a decidere se una legge è giusta o meno sia una società virtuosa, al contrario essa è pericolosamente anti-democratica, giacobina, e soprattutto grottesca.
La commedia all’italiana funge anche in questo caso da ottima lente per comprendere la società; sembra di rivedere Alberto Sordi che nel film Tutti dentro interpreta uno zelante giudice che finisce con l’arrestare mezza Italia per portare avanti la sua indagine, salvo poi finire lui stesso indagato per corruzione. Sarebbe bene che certa magistratura rileggesse Montesquieu e la sua teoria del giudice quale bouche de la loi, la bocca della legge. E che cercasse di ritrovare il suo sacro ruolo originale. Anche perché in questo nostro Paese non v’è certo carenza di reati da perseguire.
Francesco Teodori, 1° dicembre 2023