Osservateli. Leggete le loro interviste, ascoltate le dichiarazioni in tv, riflettete sulle parole usate nel pieno di una immane tragedia. Guardateli. Esaminate la loro compostezza, l’assenza di odio, di rivalsa, di giustificazionismo paterno. Gino Cecchettin e Nicola Turetta sono le due facce di una stessa dolorosa medaglia: il primo, colpito da due lutti nel giro di un anno, consapevole di aver perso la propria figlia uccisa a coltellate; e il secondo, resosi conto che nell’animo del “figlio perfetto” si celava un feroce assassino, che è quasi arrivato a sperare che si suicidasse. Guardateli, dicevamo. Potreste mai accusarli di “patriarcato”?
Elena Cecchettin, in una delle innumerevoli interviste, ha accusato l’intero genere maschile dell’omicidio della sorella. “Tutti gli uomini devono fare mea culpa“, anche “chi non ha fatto nulla e non ha mai torto un capello” a una donna. Dunque anche chi scrive, anche voi lettori. Basta vi sia stato un episodio “in cui avete mancato di rispetto a una donna in quanto donna”, in cui “avete fatto dei commenti sessisti con i vostri amici” o giocato con “l’ironia da spogliatoio”. Il che, tradotto in altri termini, significa due cose: primo, che tra il catcalling e la furia omicida vi sarebbe una correlazione diretta, l’assenza cioè di un diaframma che distingue le battutine da un assassinio; secondo, che non vi è uomo sulla terra che non sia colpevole di patriarcato e dunque di abusi sul genere femminile. Per dirla col ministro Carlo Nordio, nel maschio vi sarebbe una supposta supremazia insita “nel codice genetico” e “difficile da rimodulare”.
Il ragionamento però non fila. Per diversi motivi. Il primo è statistico: se tutti gli uomini fossero “responsabili”, e in qualche modo alimentassero la “cultura dello stupro“, i dati su omicidi, stupri e abusi in famiglia sarebbero elevatissimi. Vi sarebbero cioè milioni di famiglie in Italia in cui il marito vessa la moglie, abusa delle figlie, predomina sulle signore. E invece ognuno di noi conosce decine di coppie che stanno bene insieme e si rispettano anche alla fine del rapporto. Il secondo arriva dai dati della Fondazione Libellula. Ne cito solo uno: tre quarti dei giovani maschi ritiene sia una violenza anche solo imporre al partner cosa indossare. Dobbiamo preoccuparci di educare quel 25% rimanente? Certo. Ma disegnare il genere maschile come “interamente” colpevole di maschilismo becero risulta una banale generalizzazione peraltro non supportata dai numeri.
Infine, se la “colpa” risiede nel patriarcato e nel genere maschile nella sua totalità, se – come dice Elena Cecchettin – “tutti gli uomini devono fare mea culpa”, se tutti i maschi sono assassini o potenziali assassini, allora sul banco degli imputati dovrebbero andare anche il papà di Giulia e quello di Filippo. Che invece stanno dimostrando un’enorme maturità nell’affrontare questa catastrofe.
Andate a rileggervi le interviste. Ascoltate quando Gino Cecchettin giura di “non provare odio” e spera che Filippo “campi duecento anni per rendersi conto di quello che ha fatto”. State a sentire quando comprende che anche la famiglia dell’assassino sta “vivendo un dramma”. O quando rivendica, con un pizzico di orgoglio, di “non aver mai torto un capello a una donna”, di aver “sempre provato rispetto”. Riflettete quando, smentendo peraltro la figlia, afferma che “generalizzare è sbagliato”.
Oppure, guardate la faccia contrita di Nicola Turetta. Apprezzate il coraggio con cui è andato, in disparte, alla fiaccolata per Giulia. Lodate la forza con cui ha telefonato a Gino, chiesto perdono e condannato il figlio. Comprendete il dolore di chi non capisce come sia possibile che quel figlio “a cui abbiamo cercato di dare tutto” si sia trasformato da giovane perfetto in perfido assassino. “Non giustifico quello che ha fatto: deve essere giudicato e dovrà assumersi le sue responsabilità”. Davvero vorreste accusare anche loro due di essere “figli sani del patriarcato”?
Giuseppe De Lorenzo, 21 novembre 2023
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