Secondo James Surowieki, noto giornalista e scrittore statunitense, solo in determinate condizioni, la media delle valutazioni date da una massa di individui inesperti indipendenti sarebbe in grado di fornire una risposta più adeguata e valida di un qualsiasi parere di esperto. Riprendendo un tema che risale agli albori del XX secolo, Surowieki lo ha sviluppato in un interessante libro dal titolo assolutamente esemplificativo: “La saggezza delle folle”.
La morte di Giulia Cecchettin
Ebbene, affinché quella che una volta si definiva intelligenza collettiva si affini è necessaria la presenza di una corretta e approfondita informazione, per quanto umanamente possibile. Ciò in base al principio di quel gran liberale di Luigi Einaudi, il quale considerava prioritario “conoscere per deliberare”. Ora, da questo punto di vista, quello a cui stiamo assistendo sui nostri media, a seguito dell’omicidio della povera Giulia Cecchettin, è una sorta di rimbecillimento collettivo realizzato a mezzo stampa. Siamo inondati da articoli di giornale a da dibattiti televisivi a dir poco demenziali, nei casi più acuti di idiozia da studio televisivo, mi vedo costretto a cambiare canale dopo pochissimi minuti, non potendo sopportare le castronerie un tanto al chilo centrate sul mantra progressista del momento: il presunto, dilagante patriarcato che rappresenterebbe il brodo di coltura da cui scaturiscono questi drammatici fatti di sangue.
Il dibattito sul patriarcato
Fortunatamente, di quando in quando, è possibile ascoltare qualche perla di saggezza anche nei canali più allineati al dogma del momento. Tant’è che su Rai3, la storica emittente del servizio pubblico da sempre in quota Pci-Pds-Ds-Pd, sabato scorso ho captato un ragionamento, per giunta espresso da una esponente del gentil sesso, di grande buon senso. È successo sabato scorso, durante Tv talk, programma di approfondimento condotto dall’ottimo Massimo Bernardini. Interpellata in merito a ciò che sta accadendo sui media, in cui sembra infiammarsi il confronto tra i due sessi, la sua storica collaboratrice Silvia Motta, ha confezionato il seguente e, a mio avviso, estremamente istruttivo discorsetto: “Secondo me è molto, molto rischioso esacerbare questa separazione dei sessi. Io penso che invece dovremmo concentrare l’attenzione sulla responsabilità personale, indipendentemente dal fatto che siamo uomini o donne. Bisogna sradicare la cultura del possesso; perché di fronte a questi fatti di cronaca – io che non sono né maschio, né giovane e né un assassino – più volte mi sono chiesta qual è la mia responsabilità personale. E faccio mea culpa, perché molto spesso mi sono trovata in atteggiamenti di possesso, magari anche nei riguardi di miei figli. E quella cultura lì, del possesso, ho contribuito anche io a farla passare.”
Ha ragione Silvia Motta
Si tratta di una testimonianza la quale, almeno si spera, dovrebbe aiutare gli invasati che stanno monopolizzando il dibattito pubblico, i quali vorrebbero rieducare “all’affettività” l’intera platea maschile di questo sempre più disgraziato Paese, a scoprire una volta per tutta l’acqua calda. Il che, in questo come in tanti altri eventi delittuosi, significa stabilire una colta per tutte che la responsabilità è sempre individuale e che, in merito ad alcune radici psicologiche di una possessività che degenera in violenza, la mania del controllo che soffoca l’esistenza del proprio partner non è assolutamente una prerogativa solo maschile.
Claudio Romiti, 26 novembre 2023