Non è solo il Quirinale preoccupato dell’ultima prova di inadeguatezza del premier Conte nella gestione pasticciata del Covid-19. Anche in Paradiso, infatti, seguono sbigottiti la situazione. Sotto un ulivo, Francesco Cossiga, con pantaloni in tweed e l’immancabile iPad, siede accanto a Giuseppe Zamberletti, il padre della protezione civile italiana.
Cossiga: «Caro Zamba, sto guardando il sito della John Hopkins University, con la mappa della diffusione del virus evidenziata in rosso…» Zamberletti, alla vista di tutti quei pallini colorati, esclama: «Dalla Cina, passando per la Vecchia Persia, è arrivato per primo in Europa». Li accanto, curioso come sempre, Giulio Andreotti, interrotta la chiacchierata con il cardinal Angelini sul cambio di proprietà dell’As Roma, si introduce nella conversazione con una delle sue battute: «Praticamente il viaggio di Marco Polo all’inverso…questi cinesi ce l’hanno rimandato con gli interessi».
Z.: «Presidenti, ma voi, al posto di Conte, che avreste fatto?»
C.: «L’esatto contrario. Tutti questi stop-and-go sono davvero un procurato allarme, come dice il mio amico Sgarbi».
A.: «A gestire Palazzo Chigi come se fosse il Grande Fratello si fa solo confusione…»
C.: «Giulio, ricordo che attaccasti Berlusconi nella prima edizione del GF, quella del povero Pietro Taricone, che ora gira da queste parti; c’era pure Marina La Rosa, soprannominata la gattamorta. Mi piaceva».
A.: «France’, a te più di tutte piaceva la Prestigiacomo…e comunque io avevo scritto che guardare il GF era come assistere a una monta taurina. Mai avrei immaginato che uno di quei torelli, Rocco Casalino, finisse a Palazzo Chigi a procurare tutto quel caos, tra misure prese e annullate e dannose comparsate in TV del suo amato premier con il maglioncino pur di prolungare questa agonia a Chigi…»
Z.: «Non mi avete ancora risposto, voi come avreste agito?».
A.: «Io avrei fatto prima di tutto un giro di telefonate con Kohl, Mitterand e la Thatcher per definire una linea comune sanitaria e di comunicazione, un standard univoco di riscontri e di utilizzo dei tamponi, per gestire insieme il contagio, per non essere noi a buttarci fuori dalla finestra senza rete, da soli. E poi, un tavolo unico d’emergenza a Bruxelles».
C.: «Conte, invece, si è sentito il “meglio fico del bigoncio”, direbbe il mio amico Fanfani strumentalizzando e personalizzando il problema».
A.: «A Roma si dice in un altro modo.., ed è successo proprio quello che mi raccontò la mia povera mamma quando, nel 1920, una terribile epidemia dall’America provocò più morti della prima guerra mondiale. I primi a parlare furono gli spagnoli e da qui la chiamarono, stupidamente, “la Spagnola”, così come ora noi saremo considerati gli untori del mondo per chissà quanti anni, altro che avvocato degli italiani…”.
C.: «E i primi a non farci entrare nel loro paese sono stati gli israeliani, dai quali compriamo due miliardi e mezzo l’anno di prodotti per la cybersecurity. Ricordarlo agli amici del Mossad non sarebbe stato male».
A.: «Qualche tirata di orecchie potevamo farla. Anziché mangiare una pizza con l’ambasciatore francese, forse Di Maio poteva dargli due pizze in faccia, magari bloccando qualche commessa, visto come ci hanno trattato in questa vicenda del “Coronavairus”. Vedi come smettono di fare gli spot…».
Z.: «Il Consiglio dei ministri nella sala della Protezione Civile: un segnale d’allarme devastante».
A.: «Prima regola: non alimentare mai il panico».
C.: «Il mio amico D’Alema, quando fu decisa la guerra nel Kosovo con il rischio di missili sulla costa adriatica, mica andava in televisione o riuniva il Governo allo Stato Maggiore né si vestiva in tuta mimetica».
A.: «Una tensione sconsiderata, con un Premier perennemente indeciso sul da farsi. E mi hanno fatto anche sapere che, in una delle lunghissime riunioni alla Protezione Civile, ad un certo punto a “Giuseppi” è scappato uno starnuto che ha paralizzato per qualche istante i presenti. Poi, tutti a ridere…»
C.: «Sempre ben informato, anche da quassù! L’avevi conosciuto Angelo Borrelli, l’attuale capo della Protezione Civile?»
A.: «Sapere è potere. Questo Borrelli però non lo conoscevo, ho fatto chiedere a Guido, che li ha cresciuti tutti. Mi ha detto che si occupava di amministrazione e di conti».
C.: «Proprio quello che ci vuole per combattere il virus… un contabile…»
A.: «Meno male che non siamo scaramantici… toccando il suo portachiavi di ferro.
Z.: «Bertolaso si sarebbe mosso diversamente. Al posto di quei bollettini diramati da Borrelli che sono serviti solo a creare angosce irrazionali, avrebbe approntato un piano più concreto».
A.: «Si sarebbe mosso da medico e non da commercialista, capendo subito che il problema era legato alla respirazione e alla necessità di potenziare i reparti di rianimazione».
C.: «Bertolaso avrebbe anche ottenuto i pieni poteri per identificare tutti i letti per le terapie intensive, mobilitando le strutture pubbliche, quelle private, requisendo gli ospedali militari, organizzando con l’Esercito ospedali da campo ovunque».
A.: «Così agendo, avrebbe dato un segnale di tranquillità al nostro Paese. Altro che il segretario generale della Presidenza del Consiglio, Roberto Chieppa, che non sa neppure dove trovare mascherine e Amuchina e, forse, esasperato, sta cercando di andarsene il prima possibile» Su un triciclo, piomba nel bel mezzo della discussione, Amintore Fanfani: «I più ganzi sono i cinesi di Prato, praticamente i padroni della città: hanno chiuso in casa tutti i capibastone che andavano e venivano dalla Cina. Non se ne vede più uno per strada. Se c’è qualche malato, pare che lo mandino a morire dalle parti dell’Abetone, con le autorità locali che si girano dall’altra parte. I cinesi non contagiano, il loro diktat è: neppure un tampone».
A.: «Prato come la Città proibita, viva le democrazie!»