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Gli accordi con la Cina tra paradossi economici e luoghi comuni

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Lo studio dell’economia ha un notevole vantaggio: consente di pervenire a conclusioni che platealmente smentiscono molte opinioni largamente diffuse. Sotto questo profilo, forse l’economia internazionale è quella che ne offre il maggior numero.

Facciamo qualche esempio.

Se un’impresa italiana acquista un’azienda straniera assistiamo a un’autentica esplosione di giubilo: sembrano tutti convinti che l’operazione si traduca in un vantaggio per il nostro Paese, sia la conferma della sua salute economica. L’Italia si espande sembrano credere quasi tutti. In realtà, si tratta di capitali che sono impiegati all’estero anziché in patria, contribuendo alla crescita del paese ospitante l’azienda acquisita.

D’altro canto, se un’azienda estera ne acquista una italiana, i media in coro e quasi tutta la pubblica opinione deplorano la svendita dell’Italia agli stranieri, la sua colonizzazione economica. Si tratta, invece, di un afflusso di capitali esteri investiti nel nostro Paese, operazione assolutamente conveniente per noi sia a livello micro che macroeconomico. Chi vende un’azienda a un acquirente estero lo fa perché è convinto che, impiegandoli altrimenti, quei soldi gli renderanno più di quanto non gli fruttasse l’azienda che aliena. La sua convenienza a vendere consiste in questo. Se non ne fosse convinto, non venderebbe. Dal punto di vista macroeconomico la vendita si traduce in un aumento dello stock di capitali a disposizione dell’Italia, in un aumento della sua capacità produttiva. In entrambi i casi, la conclusione corretta è esattamente opposta all’opinione comune.

Un po’ meno ovvio è il caso dei flussi di merci e servizi da e verso l’estero, ma, anche in questo caso, l’analisi economica conduce a conseguenze opposte al comune sentire. Sembrerebbe che tutti ritengano le esportazioni italiane un vantaggio per noi, mentre le importazioni sarebbero un danno per l’interesse nazionale. In conseguenza di ciò converrebbe avere un surplus di bilancia commerciale, mentre un deficit sarebbe dannoso. Nulla di più falso: basta un attimo per rendersi conto che è vero il contrario.

Le esportazioni italiane sono beni e servizi venduti all’estero, sottraendoli al consumo interno. In conseguenza quanto più esportiamo, a parità di altre condizioni, tanto meno potremo consumare. L’opposto dicasi per le importazioni, che sono beni e servizi prodotti all’estero che affluiscono nel nostro Paese aumentandone le possibilità di consumo. Quanto più importiamo, a parità di altre condizioni, tanto più potremo consumare.

Un surplus commerciale significa che il valore di ciò di cui ci priviamo per venderlo agli stranieri è maggiore del valore di ciò che riceviamo in cambio. Dal punto di vista reale, una perdita netta. Al contrario un deficit commerciale significa che il valore di ciò che riceviamo dall’estero è maggiore di quello di ciò che diamo in cambio. Dal punto di vista reale, un guadagno netto.

Dal punto di vista monetario, un surplus significa che l’ammontare del valore delle esportazioni supera quello delle importazioni; la differenza sono soldi che entrano in Italia, o meglio sono numeri in aumento nei conti con l’estero. Dubito che qualcuno ne sia contento, tranne forse qualche ammalato di mercantilismo.

Un individuo razionale, privo di eredi, non dovrebbe rinunziare ai consumi in modo da lasciare attività alla sua morte. Dovrebbe, invece, consumare tutto ciò che ha a disposizione in modo da non lasciare nulla quando tira le cuoia. Se, oltre ad essere razionale fosse anche egoista, dovrebbe massimizzare i suoi debiti, lasciandoli pagare a quelli che vengono dopo di lui. Quanto è vero per il singolo individuo è vero anche negli scambi commerciali di un intero Paese, che dovrebbe cercare di consumare più di quanto produce, ricevendo la differenza dagli altri paesi.

Paradossi economici molto utili da tenere a mente in questa nostra epoca di farneticazioni. Ho in mente l’accordo dell’Italia con la Cina e le critiche dell’UE, che ha preso le distanze sostenendo che la Cina è nostra rivale. Posizione incomprensibile: se la Cina ci vende beni e servizi per un valore maggiore di quanto noi vendiamo a loro, siamo noi a guadagnarci non loro!

Antonio Martino, 18 marzo 2019