Articoli

Gli appelli alla solidarietà europea sono fiato sprecato

Articoli

Per favore, non prendetevela con gli olandesi. Come capro espiatorio delle nostre frustrazioni funzionano benissimo: ce li immaginiamo di ghiaccio, viziosi, materialisti ed egoisti. Fanno dumping sulle tasse, sono un paradiso fiscale – strano che la soluzione, secondo i più, sia di trasformare anche i Paesi Bassi, come il resto d’Europa, in un inferno fiscale: tutti peggiori, purché uguali.

Ma se dall’Eurogruppo non arrivasse, neanche oggi, una fumata bianca sugli aiuti all’economia per fronteggiare l’emergenza coronavirus, la colpa non sarebbe dell’egoismo del popolo che ha strappato la sua terra al mare. Già, l’egoismo. In questi giorni, cominciando da un accorato Sergio Mattarella, si sono moltiplicati gli appelli rivolti ai Paesi nordeuropei, perché “rinuncino agli egoismi nazionali”. L’impressione è che, tragicamente, i promotori dell’altruismo stiano scambiando un problema politico per uno morale. Proviamo a spiegarci.

Il vituperato “egoismo” non è altro che la necessità, giustamente avvertita dai leader esteri, di rispondere ai propri cittadini-elettori. Wopke Hoekstra, il ministro delle Finanze olandese, una volta spenta la webcam che lo collega ai suoi omologhi stranieri, deve andare a spiegare ai suoi connazionali che cosa ha combinato. Lui, il tedesco Olaf Scholz, la cancelliera Angela Merkel, devono rendere conto alla loro gente. E la loro gente, a torto o a ragione, crede alla favola delle cicale (i nordeuropei laboriosi) e delle formiche (i fannulloni mediterranei).

Più a torto che a ragione, sia chiaro: in Germania, ad esempio, i politici hanno imposto questa narrazione, evitando accuratamente di spiegare che la forza della “locomotiva” viene dal vantaggio competitivo assicurato dall’euro, oltre che dal sistematico indebolimento del potere d’acquisto delle classi medie tedesche (in una parola, dal mercantilismo). Ma finché qualcuno non convince l’elettore medio del contrario, è comprensibile, persino sacrosanto, che la Merkel agisca sulla base del mandato conferitole dalle urne. Insomma, che dia retta all’opinione pubblica, a chi l’ha votata e ai rappresentanti eletti.

Se volete fare i sofisticati, chiamatela accountability. O, più semplicemente, democrazia: queste sono le sue regole. E questa democrazia, in Europa, non esiste. Non può esistere, perché ci sono 27 Stati e 27 popoli diversi, con storie diverse, esigenze diverse, interessi diversi, spesso finanche divergenti. Un conto è la cooperazione economica e commerciale, un conto è la libertà di movimento di capitali, merci e persone, un altro conto è la costruzione di una vera e propria comunità politica. All’utopia dell’unificazione politica, peraltro, proprio la mostruosa gabbia dell’eurozona, accrescendo gli squilibri tra nazioni, ha tolto tutto l’afflato ideale dei De Gasperi e degli Adenauer, che giusto ieri Giuseppe Conte tornava a citare sul quotidiano Bild.

L’Europa non ha nemmeno una banca centrale degna di questo nome: per fare, con le Omt di Mario Draghi, quello che fanno tutte le banche centrali del mondo – un’operazione finanziaria, ma dal significato politico – ha dovuto sostanzialmente aggirare i trattati.

In assenza di una comunità politica, dunque, non ha senso evocare la solidarietà e criticare l’egoismo. La solidarietà sarebbe masochismo: perché la Merkel o Mark Rutte dovrebbero perdere le elezioni, cedendo il passo a un altro leader che prometterà a tedeschi e olandesi di proteggere i loro risparmi dall’assalto dei fancazzisti italiani? L’egoismo è accountability democratica. Tutto sta a rendersi conto che l’Unione europea non serve a niente – ovvero, che non è e non può essere un’Unione. Sembra funzionare quando il suo operato coincide con gli interessi del più forte: non è stato difficile trovare 1.000 miliardi per il Green New Deal, che finanzierà la riconversione ecologica dell’industria tedesca. Appare per quello che è  – il regno della sopraffazione – quando arriviamo noi (o i greci, o gli spagnoli), con il cappello in mano, infischiandocene di cosa pensa la nostra gente e confidando nella «solidarietà».

PaginaPrecedente
PaginaSuccessiva