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Gli atleti neri, Vannacci, l’inclusione: la surreale copertina dell’Espresso

All’Espresso cambiano i direttori ma non la propensione al suicidio. Adesso una copertina gesuitica sugli atleti di colore “che non ci meritiamo”, a lanciare un servizio che saltella fra i luoghi comuni senza sapere dove andare a parare. Giuro che non lo capivo questo sproloquio tutto di cifre buttate là, di esaltazioni di atleti in fama di martiri anziché i milionari che sono, nati in Italia e quindi giustamente assurti alla gloria degli sponsor e dei premi, delle donne che statisticamente non si capisce cosa dovrebbero rappresentare, di esaltazione dei giochi olimpici francesi, ah, quelli sì che sono civili, evoluti. Sono inclusivi.

Leggevo e rileggevo e giuro non riuscivo ad orientarmi finché, provvidenziale, l’illuminazione: era una confusa, patetica polemica contro il Vannacci “denunciato ma non condannato”, il parà vanesio che ha usato il suo razzismo militaresco in modo strategico, come biglietto da visita per una candidatura immaginata per tempo. Ma anche il razzismo al contrario di quelli dell’Espresso, che non capisci mai se scrivano al servizio dei loro fanatismi o dell’immigrazionismo affaristico del Pd, ha stancato: che c’entra il piagnisteo sugli atleti colorati di cui saremmo indegni se sono già nazionalizzati o nativi, chi se lo sogna di contestarli a maggior ragione se vincono? O bisogna imbarcare mezzo mondo per quattro medaglie? Ma se agli europei del pallone a deludere sono state sommamente le squadre multietniche come la francese, la olandese, la tedesca! Ma che c’entra poi questa ossessione del pigmento, come se uno più è scuro e più diventa automaticamente un asso?

Questi dell’Espresso vivono in una bolla suicidaria, seguono le voci di dentro, come Giovanna d’Arco, o quelle dal di fuori di Elly Schlein, ma non hanno più alcuna connessione con chi li legge, forse perché nessuno li legge più. Esaltano i giochi olimpici di Parigi e a Parigi va in scena la peggiore, la più angosciante, la più miserabile edizione delle Olimpiadi come si capisce già dalla cerimonia di apertura: puffi nudi in piena erezione, donne barbute che ballano, teste decapitate che cantano, la parodia dell’Ultima Cena virata in drag queen.

Il trionfo del laido, dell’osceno e dello squallido ma, attenzione, non così come viene, non per puro delirio scenografico o spettacolare: quel sabba di cretini pullula di allusioni, di messaggi, di empatie per l’Islam radicale che decapita, per la pedofilia consumistica affidata ai puffi eccitati, per il parossismo gender delle barbone danzerecce. Quanto alla frociaggine dell’ultima cena trasformata in orgia tossica, fa parte del progetto eurounionista di scristianizzazione sotto le mentite spoglie della laicità ecumenica, strumentale alla penetrazione del suddetto Islam politico: il Graal degradato ad ammucchiata richiama la mostra di un anno fa, a Bruxelles, Cristo “crocifisso” ad alcuni neri erculei in un groviglio di corpi, di fluidi, di tumefazioni di smalti e labbra chirurgiche, con evidente provocazione che qualche coglione considerava arte, concludendo per l’insindacabilità di una simile pagliacciata. Le Olimpiadi francesi sono il culmine dell’Europa che non esiste più, la sua negazione; l’Europa come koiné dei diversi, di popoli, di nazioni che si riconoscono e rispettano nelle loro distinzioni, ha finito di esistere nei trent’anni dell’unionismo negativo e pretestuoso che ha organizzato la grande corruzione dei disperati e dei tagliagole affidata agli scafisti, attrezzata dalle ong, teorizzata dai politici di Bruxelles, santificata dalla Chiesa. Parigi specchio di Bruxelles nelle alleanze camorristiche che privano di senso il voto democratico, irridono i cittadini orientati nel sospetto e nell’esasperazione per questa convivenza artificiosa, innaturale, pericolosa e sempre più fuori controllo.

Il risultato è che la Parigi multietnica si sposta sempre più verso il predominio monoetnico del migrazionismo africano, con risultati tragici sotto gli occhi di tutti: la totale incapacità a far fronte, la Capitale militarizzata come a Gaza, ma invano, gli attentati, gli incendi alle linee ferroviarie che non si sa a chi attribuire, se alle infiltrazioni russe, islamiste o alla locale teppaglia di sinistra, locale ma di “nuova generazione”, i parigini terrorizzati e incazzati, i coprifuoco di fatto, come per la pandemia, ma in occasione di quella che dovrebbe essere la festa dello sport e, in essa, dei popoli, degli sportivi. La Francia inclusiva, la Parigi inclusiva sconta la sua Nemesi: tutti esclusi e tutti rinchiusi, col brivido nelle arene, negli stadi: da qui, forse, non usciamo vivi, allegria. E tutto è appeso al fato, al caso che nasce dal caos, nella evidente impreparazione degli apparati di sicurezza. Una impreparazione, sia chiaro, che in parte nasce dalla degenerazione sociale, culturale della metropoli poliforma, ma in parte è oggettiva, stante l’impossibilità realistica di difendersi da un nemico in casa, ormai ampiamente maggioritario. Abbiamo detto spesso che se solo vuole questo Islam politico ormai egemone in Francia come in Belgio, nel Regno Unito come in Germania, nei Paesi Bassi, per non dire del gran casino italico, se appena gli gira questo Islam politico senza scrupoli può assumere il controllo di qualsiasi località in cui alligna: lo spettacolo in scena a Parigi ne è la conferma, è la resa preventiva, è lo sbando dato da un terrore sempre infilato sotto al tappeto.

È il vaso di Pandora definitivamente scoperchiato e a scoperchiarlo sono state mani unioniste, mani europeiste. “Ce ne vuole di più”? “Deve pensarci l’Europa”? Ma l’Europa ci pensa nel modo che vediamo: pilatesco, irresponsabile, complice. Ed esorcistico, le sacre rappresentazioni delle orge terminali di Cristo con gli apostoli per non vedere che tutto è compiuto, che ogni battaglia è persa.

Nel borgo marinaro dove vivo, ogni estate il mio amico Mario Ciferri, musicista e direttore, organizza un festival europeo di organisti provenienti da tutti i Paesi: è una delle rarissime, inestimabili occasioni rimaste per ricordare da dove veniamo: l’Europa del Barocco e del Romanticismo, del misticismo musicale cristiano, l’Europa “delle cattedrali” che ormai bruciano e nessuno si azzarda a dire per mano di chi anche se tutti lo sanno. Quell’Europa non esiste più, sopravvive come soffio dalle canne di un organo. Al concerto di ieri c’era un tedesco, vestito in camicia nera, che alla fine ha suonato Wagner: abbastanza per provocare una crisi isterica al progressista unionista coglione: ma il professore era l’uomo più mite e affabile del mondo, un artista, un musicista che nel suo continuo e un po’ grottesco inchinarsi al pubblico, non giovane, che a metà riempiva la chiesa, difendeva, forse senza saperlo, un’idea di Europa perduta, dal soffio culturale europeo, mitteleuropeo. Altro che i battelli con gli atleti in gita, altro che il sacrificio di Cristo che si prepara alla Croce con una bella orgia tra i seguaci pitturati.

Max Del Papa, 28 luglio 2024

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