Questa settimana, c’è materia di riflessione per il governo, ma – forse ancor più e ancor più dolorosamente – per l’opposizione. Inutile girarci intorno: il governo è piantato, è fermo da settimane. Un po’ è la fisiologica propensione alla differenziazione e alla litigiosità tipica di ogni campagna elettorale; ma un po’ – direi: un po’ di più – è un’incertezza di fondo, legata alle diversità strutturali che il pur brillante escamotage del contratto di governo non riesce più a nascondere.
Ok, i due contraenti, con una metodologia tutt’altro che disprezzabile, si sono messi d’accordo su alcune decine di pagine e di obiettivi comuni, dopo il 4 marzo di un anno fa. Ma poi, quando la cronaca e le circostanze esterne presentano un imprevisto, esplodono le differenze “ontologiche”. Venezuela? Difficile transennare i grillini, che presso il regime di Caracas erano andati in visita-pellegrinaggio. Caso Siri? Complicato bloccare gli istinti manettari di chi, sullo scotennamento del nemico per un avviso di garanzia, ha vissuto infanzia-allattamento-adolescenza politica.
Badate bene: questo non vuol affatto dire che il governo cadrà dopo le Europee. La sensazione è che i “piani b”, le alternative – per una ragione o per l’altra – non piacciano né ai Cinquestelle (che pagherebbero caro un abbraccio a sinistra) né alla Lega che, a torto o a ragione, non sembra ansiosa di ricongiungersi al resto del centrodestra. Morale: andranno avanti, molto probabilmente.
Ma il risultato è il rischio di uno stato di sospensione. Su Alitalia, si rinvia (e dove lo trovi un partner industriale?). Sulla prossima manovra, non si sa. Sul fisco, la Lega (in questo, assai giustamente) invoca flat tax e choc fiscale, mentre troppi altri (grillini e ministri tecnici) ululano sulla “lotta all’evasione”, ignorando che un inasprimento (a suon di cartelle e pignoramenti) colpirebbe non la mitica “grande evasione” ma solo l’evasione di necessità di chi non vuol morire, anzi di chi vorrebbe solo fare la spesa fino all’ultimo giorno del mese per la propria famiglia, prima di donare le ultime gocce di sangue a Equitalia o come si chiama adesso.
Eppure, nonostante questo stato di blocco, e sia pur in presenza di una lieve flessione nella somma di consensi tra Lega e M5S, le due forze di governo hanno un consenso complessivo che si avvicina al 60%, una quota altissima: il triplo del Pd, e il doppio del Pd e Forza Italia messe insieme.
Che vuol dire? Che, lungo tutto quest’anno, le forze di opposizione hanno totalmente sbagliato strategia e tattica. La surreale linea che definirei “Forza Europa-Forza Juncker-Forza spread”, sommata all’altro autogol “Forza Diciotti-Forza immigrazione” ha prodotto un effetto di rigetto verso le opposizioni. E moltissimi elettori, moltissimi telespettatori, appena vedono ricomparire un esponente del Pd che invoca la propria “competenza” e l’altrui “incompetenza”, provano un’immediata sensazione di rigetto.
Perfino in queste ore, sulla sicurezza, dopo i tragici fatti di Napoli, le opposizioni (in particolare il Pd e la sinistra) riescono a fare autogol. Per mesi, avevano gridato contro l’”allarmismo” e la “deriva securitaria” (colpa di Salvini, dicevano). Adesso – oplà – se la prendono con Salvini perché a Napoli c’è la camorra. Che cosa deve capire lo spettatore? Che alcuni oppositori sembrano più ossessionati da Salvini che dai problemi reali.
Daniele Capezzone, 6 maggio 2019