Politiche green

Gli ecologisti tifano virus per “pulire” l’ambiente - Seconda parte

Per molti ecologisti di spicco la crisi sanitaria dovuta alla pandemia è stata una grazia

Meotti spiega come l’ex redattore del quotidiano francese Le Monde, Edwy Plenel, ha definito il Covid un «virus rivoluzionario»: «Previene la privatizzazione dell’aeroporto di Parigi, facendo crollare il mercato azionario». Sulle colonne del New York Times, Meehan Crist della Columbia University ringraziava la pandemia per aver portato «aria straordinariamente pulita in Cina ed in Italia». Il 25 marzo 2020, mentre il Covid-19 costringeva i governi di tutto il mondo ad applicare lockdown e restrizioni delle libertà fondamentali dell’individuo, l’ecologista Bruno Latour parlava di «agente patogeno la cui terribile virulenza ha modificato l’esistenza di tutti gli abitanti del pianeta. Questo agente non è affatto il virus, sono gli esseri umani».

Insomma, per molti ecologisti di spicco la crisi sanitaria dovuta alla pandemia, generatrice di milioni di morti e sofferenze, è stata una grazia, un tentativo di rieducazione in senso verde dell’essere umano, una «prova generale del crollo di un modello che ha trovato i suoi limiti» – come affermato da un membro dei Verdi francesi, Noël Mamère, ancora sul quotidiano Le Monde. Ma non finisce qui. Anche l’economista Piketty parlava di crisi pandemica che «accelererà la fine della mondializzazione del commercio e l’emergere di un nuovo modello di sviluppo equo e sostenibile».

La forza degli ecologisti è stata proprio questa: far credere che l’ambientalismo fosse una battaglia esclusiva del progressismo, riuscendo a sostituire la «lotta di classe – marxianamente intesa – del Ventesimo secolo» con «la natura del Ventunesimo». L’ambientalismo radical e liberal ha cambiato le proprie vesti, ma ha mantenuto, in modo più o meno esplicito, lo stesso nemico: la società capitalista. Diffidate dagli interpreti: il comunismo non è morto, è solo diventato verde.

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