Che nel bacino del Mediterraneo ci siano movimenti strani e tentativi di bullismo navale turco al di fuori di quelle che sono le regole internazionali, è ormai palese. Lo sanno gli addetti ai lavori, è noto alle cancellerie ma la gente comune ne sa poco o niente perché tenuta abilmente all’oscuro o nella nebbia di quelle notizie che vengono divulgate, in piccolo e una volta sola, solo per soddisfare il dovere di cronaca nel minimo sindacale.
Ma non è tutto, queste notizie oltre alla nebbia vengono anche scollegate fra loro in modo da non dare la possibilità di collegarle e, di conseguenza, capirne la gravità e la portata. Questo modo di fare giornalismo può andare avanti per un po’, ma quando si arriverà alla resa dei conti, e quel momento potrebbe purtroppo essere più vicino di quello che possiamo immaginare, ai più sembrerà uno scoppio improvviso mentre nella realtà si era sempre trattato, fin dall’inizio, di una bomba a orologeria con il timer impazzito che nessuno ha avuto il coraggio di disinnescare. Per capire la situazione nel suo insieme è necessario tenere presente alcune vicende che si sono susseguite negli ultimi mesi.
Da quando Erdogan è salito al potere, la Turchia, che per anni era stata una delle nazioni cardine dell’Alleanza Atlantica, è diventata una scheggia impazzita. Il moderno sultano ha fatto di tutto per rompere con gli alleati storici, in primis con Israele che da alleato strategico è diventato nemico da abbattere, per proseguire con mosse politiche, come ad esempio dotarsi di sistemi antimissile russi, che andavano contro gli interessi della NATO di cui, al momento, ancora fa parte. Da quando poi sono stati scoperti i giacimenti di gas al largo delle coste israeliane e cipriote, la situazione si è molto scaldata e, a tratti, è diventata addirittura incandescente.
Il 23 febbraio 2018 la nave per ricerche petrolifere dell’ENI “Saipem 12000” è stata costretta ad abbandonare l’area di mare a Sud Est di Cipro dopo essere stata bloccata e minacciata di speronamento dalla marina militare turca, tutta questo davanti agli occhi della fregata Zeffiro della Marina Militare italiana che era in zona e che, per evitare il peggio, si è limitata a seguire gli eventi. Stesso scenario si è riproposto il 18 novembre scorso quando la nave per ricerche oceanografiche israeliana Bat Galim è stata avvicinata da un’unità della marina militare turca che l’ha spinta ad abbandonare la zona economica esclusiva di Cipro. La Bat Galim, aveva a bordo ricercatori dell’Università Ben Gurion e un geologo di Limassol, che stavano facendo ricerche approvate da Nicosia nelle acque cipriote.
Considerando che quelle acque non sono di competenza della flotta turca e tenendo presente sia il ruolo di Israele nella regione sia, e soprattutto, che non è quello israeliano un governo ben disposto a rimanere immobile davanti alle scorrettezze, quella decisa dal governo di Ankara è stata una mossa decisamente avventata le cui conseguenze potrebbero riempire i titoli dei giornali dei prossimi giorni. Recentemente aerei da guerra israeliani e greci hanno più volte sorvolato le navi turche, e questo non è un segnale tranquillizzante, ma a mettere ulteriore benzina sul fuoco c’è la notizia che il 18 dicembre alle 7.35 (ora locale), la nave Bat Galim è salpata dal porto di Haifa, in Israele, diretta nuovamente a Cipro e giungerà a Limassol, sulla costa meridionale dell’isola, nella mattina del 19 dicembre. Nei prossimi giorni riprenderà nuovamente il programma ricerche sui fondali coordinato con il governo cipriota.
Questa volta però la Bat Galim non sarà sola, infatti da alcuni giorni la Marina Militare israeliana, insieme ad altre Unità navali alleate, sta eseguendo a largo di Cipro delle manovre militari. La Israel Navy è presente con diverse unità tra le quali anche alcune navi tipo Saar 4 e Saar 5, e due sommergibili della classe Dolphin. Inoltre, in un aeroporto cipriota, l’aeronautica militare israeliana ha trasferito diversi aerei fra i quali anche alcuni F-35A. Il messaggio è palesemente chiaro, Israele intende far rispettare la legge internazionale a chiunque, anche alla Turchia, e non permetterà che siano ostacolate le sue esportazioni di gas verso l’Europa, in particolare il passaggio del gasdotto, l’East-Med, che rappresenta una fondamentale rotta del gas per Israele, Cipro, Grecia e Italia.
Non è un caso, infatti, che la fregata Federico Martinengo, una delle più moderne unità della Marina Militare italiana è arrivata a Cipro per alcune manovre nel Mediterraneo orientale. Si tratta di una mossa silenziosa ma importante che segue l’accordo tra Libia e Turchia sulle Zone Economiche Esclusive e, soprattutto, dopo le continue minacce di Recep Tayyip Erdogan. Anche l’italiana ENI ha un ruolo di fondamentale importanza in quello scacchiere. La sosta della Federico Martinengo nel porto di Larnaca è iniziata lo scorso venerdì 6 dicembre, poi, tra il 12 e il 14, sarà dato il via a una serie di manovre congiunte con altre nove marine militari alleate, probabilmente le stesse manovre navali a cui accennavo precedentemente.
La partecipazione a questa serie di addestramenti congiunti, che altro non sono che una passerella di muscoli navali, serve a far capire che se dovesse essercene bisogno i governi interessati sono pronti a far valere i loro diritti sia di carattere strategico, che generale, nel bacino del Mediterraneo allargato. In particolare nel settore orientale dove ci sono i ricchi fondali nella zona cipriota, fondali da tempo finiti sotto gli occhi di Erdogan che vede quei giacimenti come parte delle risorse Turche.
Intanto la Grecia, Cipro ed Egitto hanno dichiarato che il nuovo accordo fra Turchia e Libia è incompatibile con il diritto internazionale, la Grecia ha espulso l’ambasciatore libico e l’Unione Europea ha dichiarato che quegli accordi violano i diritti sovrani dei paesi terzi e non sono conformi al diritto del mare. Pertanto non possono produrre conseguenze giuridiche per i paesi terzi. Insomma ce n’è abbastanza per non stare tranquilli.
Michael Sfaradi, 20 dicembre 2019