Cerchiamo di andare, per un attimo, al massacro dei luoghi comuni. Nel lungo e sanguinoso conflitto che coinvolge Israele e palestinesi, riportato brutalmente all’attualità dopo gli attacchi compiuti da questi ultimi lo scorso sabato, affiora spesso una delle più tendenziose falsità storiche su questa tragica faccenda. Alludiamo alla presunta “persecuzione” ed espropriazione della propria terra di cui il popolo palestinese sarebbe vittima, a cui si danno anche nomi sinistri quali “pogrom”, segregazione e persino genocidio. In realtà, se v’è un popolo che ha sempre e sistematicamente rifiutato qualunque tentativo di pacificazione con gli israeliani è proprio quello palestinese. Occorre quindi rinfrescare la memoria storica a quanti sembrano, colpevolmente, aver dimenticato e a quelli che, ancora più colpevolmente, non hanno mai saputo.
Quella che oggi è chiamata Palestina era in origine una striscia di territorio, al di sotto del già esistente stato d’Israele (già nell’830 a.C. si parla del regno d’Israele nato dopo la separazione delle tribù ebraiche) abitato dai Filistei, antichi nemici dei giudei. Gli israeliti, guidati da re Davide (fondatore di Gerusalemme), combatterono e conquistarono, anche se mai del tutto, parte di questa terra, poi divenuta successivamente terra di dominazione babilonese, assirica e romana. Durante il dominio romano, nel 66 d.C., avvenne la celebre diaspora del popolo ebraico dalla propria terra; l’Imperatore Tito per sedare le rivolte che insanguinavano quei territori deportò una parte, solo una parte, degli ebrei via dalla loro patria ancestrale. Le genti israelite non hanno mai abbandonato del tutto Gerusalemme né la terra santa.
I problemi cominciano con la venuta di Maometto. Egli si proclama unico e solo profeta di tutte le religioni monoteiste, cercando quindi il riconoscimento anche da parte degli ebrei che, chiaramente, rifiutano. Seguono anni di massacri e uccisioni di ebrei proprio a causa del loro essere, secondo i precetti islamici, infedeli. Tale è il punto focale di tutta la questione. La sua immodificabile ragion d’essere. I palestinesi, musulmani, vedono gli ebrei come nemici solo per il fatto che essi sono, propriamente, ebrei. La loro negazione. Ciò che deve essere spazzato via con violenza. La disputa attorno a Gerusalemme nasce in questo frangente. Con tutta probabilità Maometto non ha mai messo piede in vita sua a Gerusalemme. Quello che è certo è che la città santa non è nominata nemmeno una volta nel Corano. Dunque perché tanto sangue è stato versato in nome di questo luogo?
I musulmani credono che il luogo in cui il profeta sia asceso al cielo durante la notte (Isrā è la parola araba per questo evento) corrisponda alla spianata del tempio di Gerusalemme e alla moschea di al-Aqṣā, da dove Maometto sarebbe stato trasportato in paradiso attraverso i 7 cieli. Peccato che alla morte del profeta, nel 632, non esistesse alcuna moschea al di fuori della penisola arabica e che al-Aqṣā sia stata costruita nel 674, più di trent’anni dopo. Per inciso, la presenza di una moschea non rende automaticamente sacra una città; grandi moschee esistono a Cordova e a Roma. Rivendicheranno anche queste un giorno?
La sacralità di Gerusalemme per i musulmani si basa dunque su di una interpretazione piuttosto fantasiosa, tra l’altro senza appigli teologici visto che, come ripetiamo, la città non è mai nominata nel Corano e il sommo profeta non l’ha mai visitata. Ma tanto è bastato perché essa fosse conquistata dai musulmani, con conseguente distruzione della Basilica del Santo Sepolcro, delle chiese e delle sinagoghe che vi sorgevano ordinata dal califfo al-Ḥākim nel 1009. Un gesto di brutale purificazione verso tutto quello che non è conforme alle leggi dell’Islam. Storia già vista, chiedere dell’ISIS. Tanto cara all’Islam la città di Gerusalemme che, sotto gli ottomani, diviene una fogna a cielo aperto. Talmente sacro questo sito che nei recenti attacchi Hezbollah ha lanciato missili proprio contro Gerusalemme. Talmente tanto importante questa terra chiamata Palestina che, almeno fino al termine del primo conflitto mondiale, era una landa semi-desolata, abbandonata alla polvere, ai sassi e all’incuria dagli ottomani (leggere quello che scrivevano i noti sionisti Mark Twain ed Edmondo De Amicis).
Solo dopo l’arrivo dei primi ebrei scappati dalle persecuzioni in Russia e nell’est Europa, questo fazzoletto di terra diviene una terra abitabile. Gli sceicchi arabi vendono la terra a caro prezzo agli ebrei che, desalinizzando il mare, dissodando la terra e morendo di stenti, la trasformano in un anfratto vivibile. Questo solo fatto dovrebbe bastare a dimostrare che non c’è mai stato esproprio di terra a danno di nessuno perché quasi nessuno abitava quelle terre. La presenza di sparuti gruppi arabi dalla Giordania non basta a rivendicare come proprio un territorio. Perché i cosiddetti palestinesi altro non sono che arabi, come i giordani, i libanesi o gli iracheni. E come tali, non discendendo dai Filistei (originari abitanti della terra di Palestina) non vantano alcun diritto ancestrale su questa terra.
Tra l’altro se c’è qualcuno a cui imputare il fallimento di qualunque tentativo di appianamento del conflitto sono proprio i palestinesi. Questi martiri, questi partigiani della libertà come vengono descritti dalla retorica. Talmente simili ai partigiani da essersi alleati con Hitler durante il secondo conflitto mondiale. È noto che lo sterminio degli ebrei fu in parte concertato da Hitler in accordo col Gran Muftì di Gerusalemme Al-Husayni (lo zio di Arafat) al fine di impedire che questi ultimi tornassero in Palestina per sfuggire alle persecuzioni in Europa. Nonostante l’Olocausto, gli innumerevoli pogrom e le aggressioni di cui fu vittima il popolo ebraico, lo stato d’Israele nacque nel 1948. Senza espellere da lì tutta la popolazione araba come spesso si suole udire.
Israele riconquista Gerusalemme in seguito alla vittoria riportata nella guerra dei sei giorni e dopo la riconquista, a manifestazione di quanto gli ebrei siano intolleranti, non distrugge le moschee costruite nella città. Nel 1967 Israele sancisce uno dei principi più interessanti del suo agire diplomatico: il riconoscimento della sua esistenza in cambio della cessione dei territori conquistati durante la guerra dei sei giorni (Sinai, striscia di Gaza, alture del Golan). Il tutto sancito dalla Risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza Onu. L’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), sdegnata, rifiuta tale apertura. Di nuovo, dopo la guerra del Kippur nel 1973, tale processo si rinnova nella Risoluzione 339 dell’Onu. Di nuovo, nessuna risposta da parte delle autorità palestinesi. L’Egitto di Sadat riconobbe lo Stato d’Israele nel 1978 a Camp David e riebbe indietro il Sinai.
Dunque, signori, di quale persecuzione parliamo? Di quale esproprio di terra ci si lamenta? Quale popolo genocidiario restituisce i territori conquistati in guerra in cambio del riconoscimento della sua esistenza? Durante il secondo vertice di Camp David nel 2000 Ehud Barak offrì ad Arafat la striscia di Gaza, parte della Cisgiordania e (udite udite!) la parte est di Gerusalemme. Arafat rifiutò, senza che si sia mai capito bene il perché. I negoziati li ha fatti fallire lui, mica gli israeliani. Tra l’altro, viste le recenti manifestazioni in Giordania a sostegno di Hamas verrebbe da chiedersi perché i profughi palestinesi non si rechino alla corte del Re. Quella stessa Hamas che all’articolo 7 del suo statuto recita nobilmente, parole testuali, “c’è un ebreo nascosto, vieni e uccidilo”. Quegli stessi gentiluomini che hanno inventato i bambini-soldato e che considerano i bambini ebrei alla stregua di adulti da uccidere (rileggete l’intervista di Oriana Fallaci alla guerrigliera Rascida Abhedo e capirete).
Quelle stesse genti che piazzano bombe nei mercati e nelle vie trafficate per fare più vittime civili possibili. Quegli stessi nobili partigiani che rapiscono vecchi e ragazzini e li usano quali scudi umani. Tali individui sono coloro a cui plaudono molti nostri connazionali. È perseguitato un popolo che rifiuta sistematicamente ogni negoziato? Nessuna terra è stata espropriata, anzi è stata ri-offerta in cambio del riconoscimento agli ebrei di avere, dopo millenni, una patria. A cui sono sempre seguiti rifiuti. Occorrerebbe rivalutare, profondamente, il significato delle parole “sterminio” e “persecuzione”. E riconsiderare a chi applicarle. Se non altro storicamente.
Francesco Teodori, 11 ottobre 2023