Gli italiani dimenticati: la strage di cui nessuno parla

Il 18 agosto del ’46 a Vergarolla ci fu il primo attentato terroristico della storia della Repubblica Italiana e il più sanguinoso

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Strage di vergarola

Forse sono uno dei pochissimi a riportarlo, non l’ho vissuto ma me l’hanno raccontato. Nessun ricordo, nessuna manifestazione, nessuna indignazione sono Italiani dimenticati. Pola-Istria, 78 anni fa la strage dimenticata di Vergarolla a guerra finita da più di un anno.

Un colpo secco come di pistola, poi la fine del mondo: un’esplosione frantuma le rocce su cui migliaia di persone si stanno godendo l’assolata domenica di agosto, la pineta divampa in un rogo, il mare si arrossa di sangue e i gabbiani impazziti si contendono i resti umani che piovono dal cielo. Mentre un fungo di fumo si alza dalla spiaggia, per un raggio di chilometri la città intera sobbalza mandando in pezzi vetrine e finestre. Pola, Italia, 18 agosto 1946, 78 anni fa.

Fu il primo attentato terroristico della storia della Repubblica Italiana e il più sanguinoso, più di Piazza Fontana, più della Stazione di Bologna. Nella strage di Vergarolla, la spiaggia di Pola, persero la vita oltre cento persone, ma solo a 64 dei corpi polverizzati fu possibile dare un nome, per gli altri saranno i medici a fare un bilancio mettendo insieme i pezzi e contando le membra. Un terzo erano bambini.

E come per ogni tragedia, anche per la strage di Vergarolla c’è una foto simbolo, uscita sui giornali all’indomani dell’attentato: un uomo inorridito che corre sulla riva reggendo tra le mani il corpicino inerte di una bimba vestita di bianco con la testa ripiegata innaturalmente sulla schiena. È un’immagine tuttora indelebile nella mente dei sopravvissuti, la foto simbolo della strage di Vergarolla.

«Ricordo quel preciso momento, io avevo 14 anni», ci racconta per la prima volta dal Canada Bruno Castro, istriano nato a Pola nel 1932, «nella grande confusione che seguì lo scoppio mi trovai di fronte mio cognato Mario Angelini, correva con gli occhi sbarrati tra i feriti e i cadaveri tenendo quella bimba tra le mani. Di lei non vedevo il viso, perché la testa era ciondoloni dietro la schiena, vedevo solo dei riccioli neri sul vestitino bianco. Mario continuò a correre e la depose su un camion che portava via i primi corpi, ma intanto mi gridò di correre a casa da mia mamma».

Roberto Kudlicka

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