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Gli italiani e la “vocazione del cameriere” - Seconda parte

La vocazione del cameriere è almeno di due tipi.

1. La prima è quella del cameriere che svolge il suo onesto lavoro e riceve in cambio la paga pattuita. È questo un lavoro come un altro, umile e servile quanto si vuole, ma è sempre un lavoro onesto che richiede, per altro, una non comune conoscenza dell’animo umano e modi eleganti che sono piuttosto rari.

2. La seconda tipologia è la vera e propria vocazione del cameriere che, infatti, serve non per lavorare ma con lo scopo di servirsi del padrone. In questo caso il servo vuole dal padrone la vita sicura e i vantaggi personali per i quali, al momento opportuno e quando si sentirà massimamente sicuro, è anche disposto a tradire per servire un altro padrone di cui servirsi. La servitù volontaria o vocazione del cameriere non è un errore o un peccato, non è un reato o una cattiveria ma una vera e propria scelta di vita, un autentico sistema morale che si fa beffe del lavoro altrui.

La vocazione del cameriere ha un costo sociale molto alto e per questo motivo può essere esercitata al meglio o nei regimi di privilegio e sudditanza e di paternalismo oppure nei regimi dittatoriali e rivoluzionari. Invece, se è esercitata su ampia scala nei regimi liberali c’è qualcuno che ne paga il costo. Perché la libertà non è, al contrario di quanto si tende a credere e insegnare, un diritto di natura ma una fatica storica frutto di lotta e di lavoro.

È un po’ come la scena finale de Il buono il brutto il cattivo quando Clint Eastwood – il Biondo – dice a Eli Wallach – Tuco -: “Vedi, il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica e chi scava. Tu, scavi”. Con la differenza che, per quanto sia bello e vero il film di Sergio Leone, la vita non è un film.

Giancristiano Desiderio, 29 maggio 2019

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