“Hanno sbagliato nelle decisioni. Hanno sbagliato a non avvertirci. Avrebbero potuto avvertire mesi prima. Avrebbe dovuto sapere, e probabilmente sapevano, ma non hanno avvertito. Per una qualche ragione, (l’Oms, ndr) è in gran parte finanziata dagli Stati Uniti, eppure è così sino-centrica. Ci guarderemo bene dentro. Fortunatamente non ho ascoltato il loro consiglio di tenere i miei confini aperti alla Cina. Perché ci hanno dato un suggerimento così sbagliato?” È Donald Trump qualche giorno fa. Per la stampa era una bieca minaccia, ma è seguita repentina una decisione.
Il presidente Trump ha deciso di tagliare i fondi che gli Stati Uniti d’America destinano all’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’accusa è ben precisa: l’Oms ha fallito nell’emergenza coronavirus ed è stata essa stessa promotrice della diffusione di disinformazione proveniente dalla Cina, donde il virus è partito. Gli Stati Uniti tolgono, così, dal piattino dell’Oms 400 milioni di dollari. E lo fanno lamentando anche come la Cina ne doni solo 33.
Il “Don” non cerca mezzi termini e imputa all’Oms la responsabilità di tutti i fallimenti nella gestione della crisi sanitaria, perché se l’organizzazione avesse avesse investigato meglio su quanto la Cina aveva dichiarato, molto probabilmente ci sarebbero state meno vittime. Alle minacce statunitensi dei giorni scorsi, cui sono seguiti i fatti, l’agenzia Onu aveva replicato con parecchio imbarazzo, con il tentativo di far fare la voce grossa al suo direttore generale, che chiedeva di “non politicizzare la crisi, se non volete molti altri morti”. Ma l’accusa che Trump ha lanciato all’Organizzazione è proprio quella di essere troppo politicizzata, di aver seguito gli interessi della Cina, invece della salute della popolazione mondiale. Perché Trump insiste tanto?
E perché il Wall Street Journal – quotidiano finanziario americano del gruppo che fa capo a Rupert Murdoch – non ha esitato ad attaccare frontalmente il direttore generale dell’agenzia Onu? Anzitutto va fatto notare che l’Oms ha sempre seguito, mai preceduto, gli allarmi lanciati dalla Cina, ed esattamente con i tempi voluti da Pechino. Pur disponendo di tante informazioni, ha atteso fino all’ultima settimana di gennaio per lanciare un piccolo allarme. L’agenzia Onu disponeva da subito delle informazioni sul contagio, eppure ancora a metà gennaio dichiarava che non vi fossero prove per dimostrare la trasmissibilità del nuovo coronavirus da uomo a uomo. Un ritardo che sta costando, soprattutto a determinate aree del mondo, l’ecatombe che è sotto i nostri occhi.
Com’è che Trump e sempre più analisti osano sostenere che l’Oms sapesse, ma abbia taciuto per motivi politici? Sono tante le prove, ma forse la più eclatante arriva da Taiwan. I cui rapporti con l’Oms sono stati ben descritti da The Nation che, in un lungo articolo, ha spiegato come, nonostante i continui contatti con l’Oms, per via delle violenti pressioni politiche di Pechino, i dati che le autorità sanitarie taiwanesi forniscono all’Organizzazione non sono condivisi con gli altri Stati. La nazione insulare al largo della costa sud-orientale della Cina, ha visto arrivare la violenza dell’epidemia e ha preso provvedimenti prima della Cina. Quasi tre mesi dopo aver riportato il suo primo caso confermato del virus cinese, Taiwan ha riportato solo 348 diagnosi positive e cinque decessi. È stato uno dei primi paesi ad essere colpito e ha uno dei tassi di diffusione più bassi.
Il Ministero della Sanità dell’isola aveva contattato l’Oms, già il 31 dicembre, dopo aver appurato che a Wuhan era stato individuato un virus nuovo, che secondo le autorità cinesi non era trasmissibile da uomo a uomo. L’Oms non ha mai risposto, Taipei ha avuto il sospetto che Pechino stesse mentendo ed ha dichiarato sua sponte l’emergenza nazionale. E invece l’Organizzazione ha atteso la conferma delle autorità di Pechino prima di proclamare l’emergenza. E non sapremmo nulla di tutto questo se ci attenessimo alle informazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche perché quest’ultima rifiuta di riconoscere Taiwan come stato sovrano. E in questo caso è stato il mondo intero a pagare il boicottaggio politico.
Oggi, l’uomo dietro all’agenzia Onu, è Tedros Adhanom Ghebreyesus. Etiope, di Asmara (oggi capitale dell’Eritrea), è cresciuto nella provincia del Tigray. Là si è unito al dichiaratamente filo maoista Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (FPLT), fino a diventare membro del suo politburo, notizia cancellata dalla biografia di Ghebreyesus sul sito dell’Oms – forse perché l’Fplt è protagonista di casi di violazione dei diritti umani ed è stata indicata come organizzazione terroristica. Si laurea in biologia nel 1986. Dopo la caduta di Mènghistu, nel 1991, diventa responsabile dell’Ufficio sanitario regionale del Tigray, nel 2003 viceministro della Salute di Etiopia, nel 2005 ministro della Salute, quindi ministro degli Esteri nel 2012 al 2016. Dal maggio del 2017 è direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità. Il voto è a scrutinio segreto, ma fra i suoi maggiori sostenitori c’è stata la Cina. E lo sanno tutti.
È allora opportuno fare un doveroso passo indietro, per guardare da un prospettiva più chiara il contesto in cui vengono prese certe decisioni. Ora, da più o meno un decennio l’economia etiope si regge esclusivamente sui finanziamenti cinesi. I prestiti cinesi all’Etiopia, solo dal 2006 al 2015, ammontano a oltre 23 miliardi di dollari. In Etiopia tutto quello che c’è è made in China: grattacieli, la prima autostrada a sei corsie, gli impianti idroelettrici da 270 milioni di dollari, lo stadio ad Addis Ababa da 160 milioni di dollari. Per non parlare della Export-Import Bank of China che con 2,9 dei 3,4 miliardi di dollari necessari ha finanziato il progetto ferroviario che permette di collegare l’Etiopia strategicamente al porto di Gibuti – in questo modo l’isolamento terrestre del Paese è cosa del passato. Grazie a Pechino l’Etiopia è il centro nevralgico della “Belt and Road Initiative”, la colossale rete di infrastrutture con cui la Cina intende riscrivere la globalizzazione.
E, vista la singolar tenzone che la narrazione della stampa internazionale ha combattuto contro la realtà mistificandola e regalando elogi e un credito insensato e ingiustificato al regime comunista cinese, il coronavirus non costituisce affatto un problema, anzi. Ebbene, quando Ghebreyesus viene eletto direttore generale dell’Oms, ha già alle spalle l’insabbiamento di tre epidemie di colera fatte passare per “diarree acute”. Tedros, il primo africano a essere eletto in tale carica e il primo a non essere medico, è diventato subito famoso per aver proposto come prima iniziativa, il despota marxista Robert Mugabe (1924-2019) come testimonial d’eccellenza della stessa Oms. Tante e tali furono le proteste della comunità internazionale, che l’incarico durò solo un giorno per poi essere revocato. In sintesi, tutti sostennero che la nomina di Mugabe era un vero e proprio insulto. Se volete dettagli approfonditi sul personaggio, potete chiedere all’africanista Anna Bono.
Possiamo aggiungere solo qualche dettaglio, sempre per meglio comprendere. Per intenderci è più o meno come se l’Alto commissariato Onu per i diritti del nascituro (che non esiste!) scegliesse come ambasciatore la nota paladina italiana delle cliniche abortiste. Il presidente Mugabe, oltre a essere accusato di gravi violazioni dei diritti umani, nei quasi quarant’anni in cui è stato primo ministro e poi presidente ha mandato in bancarotta il suo paese – oggi Zimbawe, ai tempi prosperi Rhodesia – con politiche economiche deliranti. Il sistema sanitario è stato devastato e chi può, va a curarsi all’estero. Robert Gabriel Mugabe è morto lo scorso 6 settembre all’età di 95 anni. E come eredità ha lasciato un Paese preda di una feroce crisi economica: quello che era un tempo colonia britannica tra le più prospere e promettenti, dopo l’indipendenza in pochi anni è stato ridotto in bancarotta da corruzione e politiche economiche e sociali scriteriate.
Un tempo granaio dell’Africa australe, esportatore di tabacco e di tanti prodotti pregiati, quattro milioni di persone sono state ridotte a dipendere dalla carità della comunità internazionale. Mugabe ha causato la morte di centinaia di migliaia di connazionali: oltre a quelli uccisi ci sono quelli morti di stenti, malattie, angoscia da disperazione. È andato in esilio dopo aver rovinato il suo Paese plasmato sul modello comunista. Ma non se ne parla e non se n’è parlato neanche dopo la morte. Che strani intrecci tra governi comunisti e l’Oms!