Le dimissioni di Claudine Gay, l’ex rettrice dell’Università di Harvard che davanti al Congresso Usa aveva dichiarato che l’antisemitismo dipende dal contesto e che aveva plagiato dei lavori, quelli sì senza contesto, non ha fermato le polemiche in corso sia all’interno dell’ateneo, sia, e soprattutto, nella politica locale e nazione degli Stati Uniti. Perché se nella più grande democrazia del mondo dovesse passare il principio che l’antisemitismo, il razzismo e l’odio verso gli altri dipendono da un contesto e che non sono da condannare a prescindere, si aprirebbero degli scenari da incubo fantascientifico.
Ora, è chiaro che imbecilli, odiatori, razzisti e antisemiti ce ne sono molti e in ogni latitudine come è chiaro che a noi sta l’obbligo di certificare la loro ignoranza e il basso quoziente di intelligenza di cui sono dotati. Questo dobbiamo certificare, e non i contesti durante i quali l’ignoranza e la poco intelligenza dei soggetti di cui sopra fanno danni. Ai più questo ragionamento dovrebbe sembrare talmente logico da essere inutile, ma attenzione, di questi tempi si cerca di sdoganare di tutto, anche l’ananas sulla pizza o la goccia di limone nel caffè. Roba da far vomitare un cammello.
In ogni caso era logico aspettarsi che dopo le aggressioni agli studenti ebrei e israeliani all’interno dei campus più importanti e dopo le manifestazioni di appoggio palese ad Hamas (da tutti riconosciuta come organizzazione terroristica affiliata alla fratellanza musulmana), ci sarebbero stati degli strascichi giudiziari che puntualmente sono arrivati.
“Folle di studenti e docenti pro-Hamas hanno marciato a centinaia attraverso il campus di Harvard, gridando vili slogan antisemiti e chiedendo la morte agli ebrei e a Israele, e quelle folle hanno occupato edifici, aule, biblioteche, sale studenti, piazze e aule di studio, spesso per giorni o settimane, promuovendo la violenza contro gli ebrei“. Questo si legge negli atti della causa che un gruppo di studenti, ebrei e non, hanno intentato contro l’università di Harvard. E questo anche se la rettrice in carica in quei giorni, come già scritto, si è dimessa, anche se l’ha fatto solo dopo aver subito forti pressioni da alcuni politici statunitensi e dalla comunità ebraica che la accusavano di non aver preso posizioni abbastanza nette contro gli episodi di antisemitismo. Il suo plagio, scoperto da lì a poco, è stata solo la ciliegina sulla torta.
La causa prende spunto dai fatti accaduti durante un’occupazione portata avanti per circa 24 ore da un gruppo di studenti filo-palestinesi. I querelanti sostengono che Harvard abbia violato i diritti civili degli studenti ebrei e accusano i vertici dell’istituzione di aver tollerato che gli stessi subissero molestie e intimidazioni crescenti soprattutto dopo i tragici fatti del 7 ottobre 2023 e la conseguente reazione Israeliana. Marc Kasowitz, uno degli avvocati che sostengono la causa, ha dichiarato che il contenzioso era necessario perché Harvard non avrebbe “corretto volontariamente il suo problema di antisemitismo profondamente radicato e i fatti venuti alla luce sono solo l’esempio di quanto non è stato fatto dai vertici dell’università”.
Il rettorato ha deciso di non commentare i fatti, perché sono in corso azioni disciplinari per violazioni delle regole di protesta relative ad attività pro-palestinesi nei confronti di una dozzina di studenti. Una risposta che non ha, e oggettivamente non poteva soddisfare chi in quei giorni non ha potuto frequentare i campus o le aule per paura di aggressioni che, comunque, sono state registrate. Proprio queste aggressioni hanno portato in giudizio tutto il gotha dell’Università di Harvard, non solo la ex rettrice, con la grave accusa di sostenere il dilagante antisemitismo nel campus. Nella denuncia si sostiene che l’ateneo applichi selettivamente politiche discriminatorie, non protegga gli studenti ebrei dalle molestie e impieghi professori che difendono la violenza antiebraica o la propaganda antisemita.
Le accuse sostengono inoltre che Harvard stia trattando gli ebrei come “indegni di rispetto e protezione” rispetto ad altri gruppi, pertanto c’è la richiesta di ingiunzione contro le presunte violazioni da parte dell’università in base alla legge sui diritti civili del 1964. Le richieste vanno da un risarcimento per gli studenti aggrediti, alcuni di loro sono anche finiti in ospedale, alla sospensione o l’espulsione degli studenti che praticano violenze e l’antisemitismo.
Nel frattempo, il rettorato di Harvard, bontà sua, ha avvertito gli studenti di non assumere comportamenti antisemiti e razzisti di qualsiasi genere per non incorrere in provvedimenti disciplinari. Secondo alcuni osservatori, l’Università di Harvard è diventata “un bastione di dilagante odio e vessazioni antiebraiche“, ma non è l’unica, cause analoghe sono state intentate anche contro l’Art Institute of Chicago, la New York University e l’Università della Pennsylvania.
Non è un caso, lo avevo riportato in uno dei miei precedenti articoli, che le università israeliane abbiano aperto le porte ai docenti e agli studenti ebrei e israeliani che insegnano o studiano all’estero, dando loro la possibilità di terminare in Israele i loro corsi di laurea o i master in cui sono impegnati. Questo però e purtroppo, a discapito degli studenti stranieri che volevano studiare in Israele che ora vedono diminuire sensibilmente i posti per loro a disposizione.
Michael Sfaradi, 17 gennaio 2023