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Gli ultimi trenta Natali senza mio padre - Seconda parte

Dove sei?

Ti ho cercato al di là della memoria, negli angoli che solo noi conosciamo, e non ti ho visto. Ho visto appena, nel buio degli angoli poco illuminati, il buio della tua mancanza, il dolore senza fine che solo si può sentire. Ti ho cercato negli angoli della notte.

Sono entrato nella tua stanza, nella stanza di mia madre. E il letto fatto. La coperta verde del letto su cui saltavo la domenica e gridavo contento perché il giorno cominciava. Lo spazio vuoto della culla che non ho voluto abbandonare. Il letto dove hai dormito tante ore sotto l’incoscienza dei farmaci che ti davano per vivere o per dormire. E se ti svegliavi in un grido imbavagliato dicevi tu non senti? E noi correvamo fino alla luce della lampada, fino al tuo viso tatuato di sofferenza.

Mancava la forza

Ti guardavamo senza poter parlare. Mancava in noi quello che abbiamo imparato da te, la forza.

E la stanza restava con la malattia e non la chiudeva, la diffondeva per tutta la casa e in tutto quello che si poteva toccare. Dalla stanza, l’odore scuro putrido della malattia. L’odore che ancora oggi ogni tanto sento. Quando mi guardo allo specchio e mi vedo uguale a te.

Mi è difficile descrivere il tuo viso. I tuoi capelli ricci neri o deboli corti pochi all’ospedale; le tue sopracciglia, le tue dita che le pettinavano; l’esile tempo delle tue labbra che sorridevano o ridevano proprio o soffrivano; la pelle delle tue guance, la barba che pizzicava nei baci, il bacio che mi desti la mattina che sei partito per la prima operazione e mi hai abbracciato e ancora ricordo il tuo profumo e ancora mi ricordo le tue braccia e tu che te ne andavi e io che restavo solo; la pelle delle tue guance, il bacio che ho dato sul tuo viso morto, sulla tua pelle più liscia di qualsiasi pelle, più gelida, la pelle e il bacio che non dimentico ogni volta che bacio.

Apro un cassetto

Ogni tanto apro un cassetto e ritrovo il tuo orologio, che ancora ti aspetta, che ancora segna i secondi: uno un altro un altro un altro. Secondi che si sovrappongono ancora, ancora dopo di te, ancora secondi e tempo, come se fosse interminabile il tempo, come se non potesse essere reciso in qualsiasi istante, in qualsiasi secondo, bruscamente reciso, per non unirsi mai più, per non tornare mai più a unirsi, non tornare mai più a unirci.

Gian Paolo Serino, 25 dicembre 2019

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