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Globalisti vs sovranisti, la partita che ci aspetta a maggio

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Negli anni Ottanta lessi un libro del filosofo parigino Paul Virilio (un mio coetaneo, morto alcuni giorni fa): “Velocità e Politica. Saggio di dromologia” (Multhipla Editore). Lo confesso, allora non capii la profondità del suo pensiero, specie il nesso ambiguo che c’era nel suo affresco-trittico “velocità-politica-potere”. Lo capii solo quando la mia generazione subì la doppia rivoluzione Web e Social, e la profezia di Virilio divenne realtà. Aveva scritto: “…. essere moderni significa essere vecchissimi, per tutto il passato che ci portiamo dietro, ma pure essere veloci”. E poi la sintesi: “La velocità è la vecchiaia del mondo”. Meravigliosa.

Un primo appuntamento l’avremo con le elezioni europee di maggio. Sono nati, e stanno consolidandosi, due internazionalismi, quello al potere da sempre, che ha scelto di essere “globalista” e di denominare come “sovranista-populista” quello avversario, assegnandogli una dignità che forse neppure si attendeva così presto. I “globalisti” hanno accettato come terreno di scontro “migranti e sicurezza”, uno “scenario” incauto, per la loro cifra umana e culturale, impregnata fino al midollo di un idiota “politically correct”. La sintesi migliore l’ha fatta Vladimir Putin “Se l’Europa dà il benvenuto ai migranti con incentivi, essi continueranno ad arrivare”. E’ così, e i cittadini europei l’hanno capito. Non sono interessati alla ripartizione dei migranti, vogliono il blocco totale degli arrivi, poi la riapertura nel rispetto della legalità dei singoli Stati.

Emmanuel Macron, convinto che la sua ascesa al potere sia stata favorita dalla “velocità” ha fatto un doppio errore di presunzione: a) Si è autoassegnato il ruolo che fu del Re polacco Giovanni III Sobiesky (Vienna 1683) contro i populisti-infedeli di ogni ordine e specie; b) Ha seguito l’andazzo dei radical chic di trasformare un banale furbacchione slavo come Viktor Orban in un leader, incoronando al contempo Matteo Salvini come suo avversario-nemico, un ruolo che lui non si sarebbe mai sognato di pretendere.

Applico ai leader politici i criteri che l’antropologo Marino Niola applica agli attori del cinema. Per esempio, Macron ha il profilo e i comportamenti del latin lover old fashion alla Rossano Brazzi (dice di lui Niola: “sembra un azzimato barbiere di Elisabeth Street”). Di contro, Salvini, acquisito il ruolo di anti Macron, ha cambiato look, come quegli attori che prendono peso per interpretare al meglio la parte, che si imbruttiscono, immagini la sua canotta pregna di un sudore appiccicoso come quella di Marlon Brando, che il suo alito sia quello di Clark Gable di Via col Vento, di cui si lamentava Vivien Leigh. L’azzimato Emmanuel contro il maschio alfa della periferia milanese, il primitivo Matteo. Che partita sarà? Aspettiamo, sereni, maggio.

Riccardo Ruggeri, 20 settembre 2018