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Green pass, 2 folli esempi di inferno burocratico - Seconda parte

Che poi il mio breve racconto è solo un piccolo esempio. Stimolato nel mio ego giornalistico, infatti, ho “investigato” e di storie similari ne ho raccolte un bel pacchetto. Una su tutte me l’ha raccontata il giovane e valido chef che lavora in una località turistica. E qui, forse, non basta neanche Kafka. Il mio amico chef, che chiamiamo Roberto, il 13 giugno ha fatto la prima dose di Pfizer senza prenotazione, presso l’open in Valle. Il 13 luglio lo hanno chiamato per la seconda. Le colleghe, i colleghi e i titolari dell’albergo-ristorante, hanno ricevuto il green pass. Lui no, né tessera verde né alcuna comunicazione mail o telefonica dall’Asl competente. Dopo tre settimane di parossistica ricerca tra il numero verde della Regione e il sito governativo, scopre che lo avevano registrato come genere femminile e con il codice fiscale sbagliato. Quindi Roberto non risulta vaccinato. Il punto è che quando scrivo questo articolo è ancora senza green pass. E sta in cucina tra pentole e fornelli! In un ristorante dove si può entrare, per pranzare o per cenare, soltanto se in possesso del cosiddetto passaporto sanitario: senza non si può neanche prenotare.

L’Asl sostiene di aver corretto i dati e di averli trasmessi alla Regione. Ma ancora nulla. L’ultima risposta ottenuta da Roberto è una barzelletta: “Aspettiamo mercoledì. Speriamo, perché sennò non sappiamo più che cosa fare”. Dunque ci sono i documenti che attestano l’avvenuto inoculamento di due dosi, ma il malcapitato è inserito tra i non vaccinati. Forse il generale più che andare a caccia di indecisi, dovrebbe farsi un giro con i suoi uomini negli uffici pubblici.

Marco Gregoretti, 25 agosto 2021

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