C’è un limite a tutto. Massimo Cacciari, le cui posizioni sul green pass non erano note nonostante la sua costante presenza nei programmi tv, ha vergato una lettera aperta insieme a Giorgio Agamben per contestare l’introduzione di un dispositivo che viene presentato come “salvifico”, ed ecco che di colpo per molti intellettuali italiani diventa un’altra persona. Da una delle più lucide teste in circolazione, quale incontestabilmente è, in poche ore viene spersonalizzato e presentato quasi come un povero scemo, un pensatore di serie b, oppure uno a cui il caldo o il troppo studio hanno dato alla testa. Chi scrive condivide solo in piccola parte il contenuto della missiva, sente un istintivo disagio per il tono usato che potremmo collocare fra il catastrofista e il complottistico, ma non può esimersi dal confrontarsi con le tesi in essa espresse. Non fosse altro perché a esprimerle sono due filosofi di tal vaglia (di cui uno, Agamben, ha una fama che travalica il mondo culturale italiano). Da loro, come da chiunque pensa seriamente e in profondità, si apprende sempre, anche nel caso in cui avessero preso una cantonata (come qualcuno si è affrettato a commentare).
Le tesi espresse, per la natura stessa della nostra cultura, esigono non di essere ridicolizzate, ma se del caso di essere ragionate e rifiutate con argomenti, deduzioni e controdeduzioni. Provando a non falsare il pensiero degli autori o a spostare altrove il discorso. Intanto, non può non ascriversi a loro il merito di aver spostato il dibattito dal lato empirico della questione, che pure ha la sua importanza e in certi momenti una sua priorità, a quello filosofico. O semplicemente concernente i valori stessi su cui si regge la nostra vita e la nostra civiltà, la stoffa e la qualità delle nostre istituzioni democratiche.
È penoso, o semplicemente specchio di malafede, vedere come la risposta che ad essi viene data parla dell’efficacia o non efficacia dei vaccini, della virulenza o non virulenza del virus. Tutte questioni, per carità, importanti e più o meno controverse, a cui bisogna dare risposte di buon senso. Ma non è questo il discorso di Cacciari ed Agamben, che non possono essere ridotti nelle categorie infamanti e ormai passe-partout dei no vax e dei “negazionisti”, dei cinici giustificatori di vaganti esseri infettanti. È un discorso, il loro, concernente la libertà, il bene più caro, forse più della vita stessa con cui per molti aspetti coincide (che valore ha una vita coatta? Può definirsi ancora tale?).
L’altro giorno Le Figaro si chiedeva: “Passe sanitaire: la situation justifiie-t-elle vraiment une suspension des libertés?”. In Italia non solo una questione del genere non viene esplicitamente discussa, ma si arriva a negare che ci sia una sospensione delle libertà o persino a chiamare libertà proprio questa sospensione e non il suo contrario. Un discorso che va posto e risolto iuxta propria principia, non liquidandolo, rimuovendolo o ridicolizzandolo. Una reductio ad rediculum che Cacciari e Agamben non meritano, ma non meritiamo tutti noi esseri pensanti, e che non fa onore a chi se ne fa responsabile. Nello scriptum c’è un punto, apparentemente secondario, anzi una parola, su cui secondo me bisogna soffermarsi un attimo: “leggerezza”. È il vero centro del discorso, a mio modesto avviso.