Green pass, Draghi inciampa sulla politica della paura

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È inutile, o malafede, girarci attorno: ad un “liberale”, e uso il termine con tutte le accortezze del caso, e nel senso più ampio possibile, l’idea del green pass istintivamente non piace, genera disagio e fastidio. Però non ci si può fermare qui. Bisogna necessariamente portare al concetto, cioè argomentare razionalmente, quella che a tutta prima è solo una sensazione. Ci sono tanti modi per farlo ovviamente, ed esclusa la genìa dei no vax e complottisti vari, che è molto ristretta e va tollerata perché una quota di follia contenuta e messa in condizione di non nuocere agli altri fa sempre bene alla società; esclusi costoro, dicevo, le argomentazione che vengono portate avanti, soprattutto da intellettuali e politici dell’area del centro-destra (che ormai, con tante contraddizioni certo, è l’unico paladino di certe vecchie idee liberali), sono per lo più condivisibili. E meritano comunque rispetto, e non quel dire sprezzante che un Draghi sicuramente non in forma ha indirizzato l’altro giorno a Salvini.

Eppure, ho come l’impressione che, in questo ragionare, si resti un po’ al di qua del guado, in un terreno ove si discute del più o del meno, di obbligo o non obbligo, e addirittura, da parte di alcuni, si usano tono da vecchio sessantossismo barricadero (col segno cambiato) che accetta per principio il tavolo da gioco impostoci da questi nostri tempi. Bisognerebbe fare invece un passo laterale, almeno a livello intellettuale, e riflettere un po’ più in generale su ciò che sta avvenendo, casomai evitando formule vaghe come “crisi dell’Occidente” che dicono poco e nulla e sono comunque all’interno di quel gioco dialettico. Bene, per dirla tutta, secondo me quello che sta venendo fuori con il Covid (che è poi una delle tante epidemie, e nemmeno la più pericolosa, che hanno costellato la storia dell’umanità) è un fenomeno che i filosofi hanno teorizzato da un po’ di tempo, e che è poi la chiave con cui si è costruito il potere nell’età moderna anche quando, in altri tempi, non ci era manifesto od era comunque da noi rimosso. Questo fenomeno lo possiamo chiamare: la produttività politica della paura. La politica, persa la capacità e la possibilità di intervenire con efficacia sui macro e i microsistemi, interviene provando a rassicurare sul naturale bisogno di sicurezza che gli uomini hanno per il solo fatto di vivere ed essersi trovati gettati nel mondo. Un bisogno che un tempo colmavano agenzie ben altrimenti efficaci, quali quelle religiose.

È chiaro che, in questo ordine di discorso, ciò che è indotto o reale, strumentale o non, diventa secondario: come ha osservato in un bellissimo articolo qualche giorno fa Massimo Cacciari, in tutta questa vicenda non un dato e non un momento è di sicura “oggettività” scientifica.  La facilità con cui l’infelice frase draghiana sui non vaccinati portatori di morte può essere, ed è stata, smontata, mostra con tutta evidenza questa situazione “umana, troppo umana” di indecidibilità scientifica. Che virologi superstar, e spesso sopra le righe, non solo non riescono a coprire ma che anzi esasperano. Il che vale anche e contrario, evidentemente; sul coté dei “negazionisti”, intendo.

Essere sicuri significa, in sostanza, vivere in una teca, non rischiare, non vivere l’incertezza, smussare i conflitti. È una strategia immunizzante a tutti gli effetti, come l’hanno chiamata i filosofi (penso in Italia soprattutto a un Roberto Esposito) ben prima che noi tutti stessimo qui a parlare di immunità e vaccini. Ecco, il rischio, l’incertezza, la conflittualità, la possibilità stessa della morte, è ciò che mette in conto un “liberale”, almeno come lo intendo io. Il quale sa che tendere al contrario ad una idea di immunità e purezza irraggiungibile, è un movimento profondamente disumano. Solo introiettando in noi stessi quote omeopatiche di virus, proprio come fanno i vaccini, possiamo vivere. E poi anche ovviamente morire. Utilizzare dispositivi immunizzanti oltre il lecito e troppo invasivi, non solo non sortisce effetti sensibili, con tutta probabilità, , ma significa in sostanza anticipare la morte nella nostra stessa vita.

Corrado Ocone, 25 luglio 2021

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