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Green pass, la bufala del Messaggero sui ristoranti - Seconda parte

Solo che le cose, soprattutto i titoli, andrebbero fatti con meno entusiasmo e maggior discrezione per risultare un minimo attendibili. La realtà – la nostra realtà di cronisti – possiamo riferirla qui ed è un po’ meno jovanottesca, alla penfo pofitivo. Venerdì chi scrive stava a Roma, in pieno centro, a incontrare un amico e collega; si era portato un’amica la quale, all’inesorabile richiesta di sfoderare il green pass in mezzo alla Galleria Alberto Sordi per sorbirci un caffè, s’è alzata e, comprensibilmente irritata, se n’è andata. Non è un caso isolato, la follia, se non ti ci adegui, ti fa incazzare. E la verità è che questa del lasciapassare salvifico non regge perché ne esaspera più di quanti non ne esalti. Anche a detta di tranquilli ristoratori delle Marche (per esempio), che, obbligati dalle circostanze, non rinunciano però a protestare, sempre con chi scrive, che questa genialata del lasciapassare che non lascia passare niente gli ha fottuto tra il 30 e il 40% di clientela lungo tutta l’estate. Per svariate ragioni. Spiace riferirlo, spiacerà leggerlo, ma questo è. In Galleria Sordi, a proposito, un buon numero di esercizi era sbarrato, morto o desolatamente deserto. Chissà se importa ai realisti filogovernativi di ritorno che, dopo l’ennesima dose di elisir, vorrebbero pure il greenpass potenziato sino al foro interno. Perché è questo ciò a cui si punta, facciamola breve; e neanche basterà, le smanie psicopatologiche di Speranza e non solo lui continueranno a venir tradotte in normative al di fuori della sanità mentale, della Costituzione e della grazia d’Iddio. Ma basterà strillare in prima che va tutto bene, madama la virologa.

Max Del Papa, 8 settembre 2021

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