Essere o non essere, questo è il dilemma. Essere cioè fedeli ai propri convincimenti, in questo caso No Pass, oppure mantenere un profilo basso visto il ruolo di vicequestore ricoperto ogni giorno? Un paio di queste domande se le sarà poste Nunzia Alessandra Schilirò, 43 anni, origini catanesi, poliziotto già capo della sezione romana contro i reati sessuali e ora in servizio alla Criminalpol. Sbirro in questura e “disobbediente” su Telegram, sabato è salita sul palco in piazza San Giovanni a Roma per urlare il suo “no” contro il green pass. Ovvie le polemiche. Scontate le reprimende della politica, tanto che ora l’agente rischia la sanzione disciplinare e forse pure il licenziamento. Ma Schilirò è da considerare un’eroina della libertà oppure una sovversiva?
Il discorso No Pass
Quando ha preso la parola, l’agente sapeva che stava per ficcarsi in un mare di guai. Le amiche l’avevano avvertita: pensa alla carriera. Ma lei ha beatamente ignorato i suggerimenti. Ha afferrato il microfono perché “chi la pensa diversamente dal pensiero dominante” ha il diritto di esprimersi, anche se veste una divisa. Perché “la Costituzione difende le minoranze”. Perché a volte “bisogna fare ciò che è giusto” e non “cioè che conviene”. L’ha fatto perché, corretto o sbagliato che sia, crede in ciò che professa anche se va “contro i miei interessi”. Crede che il green pass sia una “tessera della discriminazione”. Ritiene un errore “limitare il diritto al lavoro, alla libertà e alla vita sociale del cittadino”. Ed è convinta che “il lasciapassare verde” sia “incompatibile con la nostra Costituzione”: “Nessun diritto può essere subordinato al possesso di un certificato”. Bene. Cos’ha urlato di così fuori luogo?
Coraggiosa o ribelle?
Poco, in realtà. Basta guardarsi il video per intero. Pilato direbbe: non vedo in lei nessuna colpa. In fondo il vicequestore è salito sul palco premettendo di farlo a titolo personale. Non indossava la divisa. Non era in servizio. Ed è solo una dei 19mila poliziotti non vaccinati di questo Paese. Di coraggio, va detto, ne ha dimostrato non poco, come quei prof che hanno rinunciato a tutto per opporsi al green pass. E infatti le reazioni non si sono fatte attendere: il ministro Lamorgese ha definito “gravissime” le sue dichiarazioni e l’amministrazione avrebbe già avviato il provvedimento disciplinare. Lei per ora se ne infischia: “Mi è capitata l’occasione di esercitare i miei diritti e l’ho fatto”. Tutto con assoluta serenità: “Ho scelto il mio mestiere, perché credevo che non ci fosse niente di più nobile del garantire la sicurezza di ogni cittadino (…). Se questo mi viene negato, il mio mestiere non ha più senso. Andrò avanti sempre, con o senza divisa, per amore del mio Paese”.
Certo, in dieci minuti di discorso qualche nota stonata c’è stata. Sentire un poliziotto invocare la “disobbedienza civile” come “dovere sacro quando lo Stato diventa dispotico” fa quantomeno strano. Forse Schilirò avrebbe fatto meglio a non farsi presentare come vicequestore. E potrebbero anche avere ragione quei colleghi che la invitano a “smettere di servire con l’uniforme uno Stato nel quale sembra non credere”. Questione di coerenza, sia chiaro. Se poi ha infranto un qualche regolamento interno, ne pagherà le conseguenze. Tuttavia, sulla libertà non si scherza. Si può limitare il diritto di parola ad un cittadino, qualsiasi mestiere faccia, se non invita alla sedizione? Ovviamente no. E in fondo il vaccino ad oggi non è obbligatorio, così come il green pass: chi volesse ha il diritto di non vaccinarsi, di non andare al lavoro, di non entrare nei bar, di mangiare sempre a casa, di farsi sospendere lo stipendio e continuare a gridare la propria contrarietà alle norme introdotte. È giusto, è sbagliato? Fattacci loro. La contraddizione dei sacerdoti del green pass sta tutta qui: ignorare che non v’è nessun obbligo ad aderire alla loro religione. Anche se vesti una divisa.
Giuseppe De Lorenzo, 27 settembre 2021