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Greta, Orlando e l’alibi green

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“Un evento imprevedibile” dice Leoluca Orlando Cascio, il trasformista, del nubifragio che ha colpito Palermo. La stessa cosa che ebbe a dire Marta Vincenzi, sindaco di Genova. Se sono imprevedibili, come mai si arrogano il diritto di prevedere che clima farà di qui a 50 anni? E tutti, subito: ah, avete visto, sono i cambiamenti climatici, è il riscaldamento globale. Ma il riscaldamento globale nessuno l’ha visto, a marzo si sprecavano le paginate, “arriva l’estate più torrida dall’estinzione dei dinosauri”, come ogni anno e invece è un’estate che non c’è, una non estate, piovosa umida fresca per non dire fredda: scrivo dal centro d’Italia e ogni sera la temperatura scende sotto i 20 gradi e sono in riva al mare, non a tremila metri. Sarà che aveva ragione Franco Battaglia nel ripetere che si andava, viceversa, incontro ad un raffreddamento globale, che si era al termine di uno di quei cicli misteriosi determinati dal sole e qualche estate un po’ più rovente non fa testo. Sarà anche che più andiamo a inginocchiarci “contro il riscaldamento globale”, che poi sarebbe a dire contro il capitalismo, da superare come dice quella collezionista di incarichi della Mariana Mazzucato, e più non rinunciamo ai conforti della modernità capitalista come l’aria condizionata che ci rende insofferenti ad ogni variazione termica.

Ci sono attualmente due leggende metropolitane a tenere banco: una è il coronavirus o meglio la inevitabile insorgenza della seconda ondata “che farà più vittime della Spagnola”, come dice la Oms cinese e il nostro uomo alla Oms, Ricciardi; l’altra è appunto la storiella della terra che ribolle, che essicca come una gigantesca mummia: “Vi sono rimasti dieci anni” disse Greta, la adolescente problematica in tour italiano un anno fa: da quel giorno, piovve per 40 giorni filati, una pena biblica. Ma Greta non demorde. Sterilizzata dall’emergenza virus, ha provato a restare nella luce della ribalta, “Anche io forse ho avuto il virus”. E tutti: si è salvata, miracolo! Ma non specificava, bisognava crederle sulla parola come per tutto. Non ha funzionato e allora è tornata con le sue tristissime profezie di sventura. Il mondo aveva altro da fare e lei ha ringhiato: “Come osate dimenticarvi di me”.

C’è da capirla, Greta Thumberg è un’azienda e, come per tutte le aziende, se gli affari non crescono, si va a rotoli. Le hanno pure fatto la inevitabile fondazione, tanto per risparmiare un po’ di tasse, una faccenda alla Bill Gates, quello che vent’anni fa diceva: “I poveri? Ci deve pensare la medicina” e oggi dice: “Il vaccino va reso obbligatorio per tutti e 8 i miliardi sul pianeta e se ne ammazza settecentomila è un costo accettabile”. Gente così, benefattori così. Questa Greta, questa costruzione della propaganda globalista, sorosiana, è a suo modo un mistero. Sempre in fama di povera bimba disagiata anche se ormai va per la maggiore età, con il che potrebbe dedicarsi ad occupazioni più appaganti e fisiologiche. Lei invece insiste: cura o le curano l’immagine da quella megainfluencer che è, con qualche sfondone: tuona contro aerei e automobili ma si ritrae su un supertreno che non va ad Avemarie, circondata da involucri di plastica; fa sapere all’universo mondo della sua traversata fino in America Latina a bordo di un catamarano ecologico, ma è tutta una montatura pubblicitaria: appartiene al principino monegascho Casiraghi, magnate dell’automobile e hanno dovuto togliere dallo scafo gli sponsor petroliferi; poi c’erano barche a motore a sorvegliare la novella Cristofora Colomba, che è tornata in Europa per vie ambigue e non chiarite.

Si dice di Greta: non criticatela, è solo una bambina. Ma la bambina che sussurra ai potenti, se li sceglie con accurata malizia: mai un attacco diretto, giusto il populismo di sinistra contro “gli adulti”, “i politici”, “quelli che mi hanno rubato il futuro”. A lei, non ai coetanei e meno che spaccano pietre o le raccolgono nelle miniere o si prostituiscono nei bordelli asiatici. Per quelli nessuna parola, niente neppure per la Cina che da sola inquina dieci volte come il resto del mondo: tutti gli strali per l’America, vale a dire Trump, anche se l’America è il paese che da solo ha abbattuto l’inquinamento più di tutti grazie ai massicci investimenti nelle tecnologie.

Greta è intoccabile, ha la sindrome di Asperger, però va ascoltata come l’oracolo santo, ha la scienza infusa, non va a scuola e se ne vanta, ha problemi di socialità e di apprendimento e ci specula lei per prima e tutti devono interpellarla: col tempo la piccina “che può vedere la C02 passare” è passata da esperta in clima, in ambiente, in inquinamento, poi in tecnologie, quindi in razzismo americano, anche se è bianca svedese, da lì in sociologia e perfino in virologia (e questo in effetti ci può stare, dato il livello medio dei virologi in particolare italiani). Fa niente che la sua insopportabile faccetta contorta dai capricci sia diventata il testimonial per il più massiccio programma di sprechi ambientalisti, con annessa tassazione globale, di tutti i tempi. Fa niente se la sacerdotessa tuttologa, una che quanto a nientologia se la batte con Scanzi, comandasse di abbeverarsi solo da certe borracce ecologiche, talmente ecologiche che, si è scoperto, poi, sono cancerogene, tossiche e inquinano come un allevamento intensivo di maiali.

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