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Guerra tra prof: chi vuole (di nuovo) impallinare Savona

Giavazzi, braccio destro del premier, va all’attacco di Savona sulla questione Consob

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Non svegliar Consob che dorme. Se, come pare, la Consob ha spento i fari sui mercati, l’abrasivo Francesco Giavazzi, longa manus di Super Mario, ne ha invece acceso uno sul suo presidente, Paolo Savona. Questa volta, però, il premier Draghi sembra non apprezzare l’esuberanza del suo vispo factotum sul quale, a Palazzo, tutti scherzano per il peculiare vezzo – rischioso in tempi di pandemia – di cercarsi continuamente il naso con le dita.

Dal canto suo, Mario Draghi invece apprezza l’attuale presidente della Consob non solo per la serietà e la competenza, ma anche perché al tempo fu proprio Savona a mettere più di una buona parola su di lui quando il suo conterraneo Francesco Cossiga lo picconava senza pietà definendolo “vile affarista”, salvo poi pentirsene. Giavazzi in realtà avrebbe molto da ridire anche sulla preparazione accademica del professor Savona, limitandosi a ricordare che quest’ultimo con il premio Nobel Franco Modigliani, suo nume tutelare, non ha mai avuto una particolare frequentazione al di là di uno stage al Mit di Boston, oltre a non aver mai scritto su riviste scientifiche internazionali di peso. Sicuramente punzecchiature tra prime donne degli atenei.

Vero è però che la Consob di questi tempi è praticamente immobile, anche a causa del caotico smartworking dei dipendenti. Gli uffici non istruiscono più le pratiche con il rigore di una volta e tutto sembra sfilacciarsi, come sussurrano sia il commissario anziano Giuseppe Maria Berruti, magistrato di lungo corso nonché mente più sottile della commissione, sia Chiara Mosca, bocconiana nominata in tempi record su indicazione proprio di Giavazzi al posto di Anna Genovese, “pupilla” di ‘Giuseppi’ Conte. Accade di tutto e di più sotto gli occhi socchiusi della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa che, sulla carta, dovrebbe garantire la trasparenza dei mercati. Accade che Mediobanca prenda azioni in prestito per votare nell’assemblea di Generali e che poi le restituisca come se niente fosse. Accade che la valutazione sulla carenza di capitale di Mps fatta da Unicredit (entrambe quotate) sia diversa da quella del Mef. Accade che sia annunciato un accordo fra CdP e Atlantia per la vendita di Aspi, ma che poi non si perfezioni perché subordinato all’approvazione di un piano economico-finanziario del Ministero competente.

Accade che KKR compri una partecipazione nella rete Tim (Fibercop) per 1,8 miliardi di euro e nessuno chieda di vedere il contratto, anche solo per escludere il fumus di un prestito camuffato da acquisto. Accade che il presidente di CdP, proprietaria fino a poco tempo fa del concorrente di Tim sulla fibra ottica, sieda nel CdA di Tim. Accade che sempre il fondo KKR lanci una bizzarra offerta “non vincolante” sul 100% del capitale di Tim subordinata, fra l’altro, ad un “accordo” con lo Stato italiano e che nessuno chieda niente, nonostante il titolo sia finito sulle montagne russe, per la fortuna di tanti speculatori e nell’indifferenza dell’organo di vigilanza sui mercati. Accade che, ancora in Generali, il CdA uscente proponga la sua lista per il nuovo Consiglio nel silenzio della Consob che, in extremis, rimpalla pilatescamente la questione al mercato.

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