Gli ultimi giorni della campagna elettorale sono stati gestiti da noi delle élite in modo talmente aggressivo (ferocemente anti M5S, Lega, FdI, LeU) da rasentare la follia suicida, ottenendo, temo, l’opposto di quello sperato.
Siamo riusciti a far apparire un gigante della politica una giovane donna di destra (Giorgia Meloni), personaggio vero, quindi più da mercati rionali che da salotti televisivi, oltre tutto, stante l’età, avrebbe potuto essere la figlia dei tre pezzi da 90 della sinistra delle terrazze romane: la Grande Attrice (Monica Guerritore), il Grande Giornalista cosmopolita (Vittorio Zucconi), la Grande Conduttrice (Lilli Gruber).
Meloni nei sondaggi ha sempre galleggiato intorno 4% (con punte fino al 5%), stante il profilo degli spettatori di “Otto e mezzo”, di certo non più dello 0,5% potrebbe votare per Fratelli d’Italia, e se lo facesse di certo più per uno come Guido Crosetto, che non per Meloni.
Fin dalla prima frase, in pratica non l’hanno fatta parlare.
L’Attrice le dava sempre sulla voce, prima ancora che arrivasse al verbo, lo faceva in modo flautato, con un perenne sorriso ironico stampato sulle splendide labbra.
Il Giornalista faceva smorfie cosmopolite, quelle che di solito riserva a Donald Trump (Meloni, la consideri una medaglia), scuotendo la testa disperato, immagino per la pochezza intellettuale della malcapitata.
La Conduttrice le toglieva spesso la parola, quando capiva, con largo anticipo, cosa avrebbe potuto dire successivamente, di certo non degno della trasmissione.
La poveretta, mai riuscita ad arrivare alla seconda frase, disperata, a mò di difesa, ha cercato allora di trovare un punto d’accordo almeno sulla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e sulla differenza fra migranti profughi dalla guerra e migranti economici.
Nulla da fare, si capiva che non la consideravano neppure degna di pronunciare il termine Convenzione, non parliamo della Ginevra del mitico Calvino. Quando ha citato il Sindaco di Capalbio per lei è stata la fine.
I tre si sono scatenati, il radical chic si è fatto talmente stretto che neppure io, che pure frequento salotti, terrazze e board, e ne padroneggio tutte le sfumature, ci ho capito più nulla. Ricordo il nome di Sofocle buttato là, ma l’unico nome alto venutomi in mente è stato Jerome K. Jerome.
Confesso che i miei colleghi delle élite proprio non li capisco.
Ammettiamo per un istante che il 4 marzo dovessero vincere i buzzurri (Meloni, Salvini, Di Maio, Grasso). Per noi, in fondo, non cambierebbe nulla.
Una conference call triangolare Sergio Mattarella, Angela Merkel, Mario Draghi, e con il primo aereo arriva la Troika, sei mesi sgradevoli, poi riprenderemmo il nostro tran tran. Questa volta non abbiamo neppure la necessità di fare un bocconiano senatore a vita, abbiamo già Paolo Gentiloni eletto a Roma 1.
Amici cari, diamoci una calmata.
Riccardo Ruggeri, 28 febbraio 2018