Ha senso riportare Matteo Salvini al Viminale?

La sentenza Open Arms riapre le porte del ministero dell’Interno al leader della Lega. Lui vorrebbe, e sa fare quel lavoro, ma ci sono due problemi

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Salvini Pontida

La domanda è semplice semplice e, dopo la sentenza sul caso Open Arms, serpeggia un po’ tra i banchi dei politici e nelle redazioni dei giornali: ha senso riportare Matteo Salvini al ministero dell’Interno?

I diretti interessati, che sono tre, rispondono ovviamente in modo diverso. Il leader della Lega ci tornerebbe di corsa: “Sicuramente occuparsi della sicurezza di milioni di italiani è qualcosa di bello a cui tutti non potrebbero che ambire – ha detto – e se qualcuno in passato poteva dire ‘Salvini non può andare agli Interni perché c’è un processo in corso sulla sua condotta da ministro”, adesso questo alibi non c’è più'”. Ne parleranno con Giorgia e Matteo, che sono gli altri due vertici di questo triangolo, perché “questo governo è una squadra di amici”. Insomma: per ora no, però chissà.

L’attuale ministro, Matteo Piantedosi, non è propriamente un politico ma un tecnico dunque con ogni probabilità si adeguerebbe alle indicazioni che dovessero arrivare (c’è chi ipotizzava addirittura una candidatura in Campania, subito smentita). In ogni caso, per ora si tiene stretto il suo posto: “Salvini, in poco più di un anno, fece un ottimo lavoro al Viminale ed io ho avuto il privilegio di essere stato partecipe di quella stagione – dice – Chi ora, in modo malevolo, vuole insistere a proporre una connotazione divisiva all’esito del processo di Palermo si deve rassegnare: ha prodotto l’effetto delle espressioni di apprezzamento del mio lavoro da parte del presidente Meloni e dello stesso Salvini”.

Infine c’è Giorgia Meloni. La quale, a domanda diretta, ha risposto con un secco “oggi sia io che Salvini siamo contenti dell’ottimo lavoro che sta facendo il ministro dell’Interno”. Che sta a significare: Matteo non ci pensi nemmeno, il governo così com’è non si tocca. La premier ha le sue ragioni, anche politiche: intanto gli esecutivi sono fatti con un bilancino precario e ogni pesetto che si sposta rischia di trasformarsi in valanga. E poi un Salvini al Viminale riconsegnerebbe alla Lega il dossier migranti che oggi Meloni ha saldamente nelle sue mani. Non a caso è lei a difendere a spada tratta i “centri in Albania” che, assicura, “fun-zio-ne-ran-no”.

Dunque bisogna chiedersi: conviene oppure no al governo spostare una casella così importante? La domanda va osservata da due punti di vista. Non c’è dubbio (e chi ne ha, parte prevenuto) che i numeri diano ragione a Salvini: quando è stato al Viminale gli sbarchi sono crollati, dunque logica vorrebbe che tornasse a fare il lavoro che gli è venuto bene. In fondo il folle processo che l’ha tenuto “appeso” per cinque anni ad una accusa assurda è crollato sotto i colpi della logica che, a quanto pare, solo le Ong e i pm non erano in grado di afferrare.

Dall’altro lato, tuttavia, ogni stagione politica ha le proprie logiche. E in questo momento ci sono almeno due ragioni che portano molti, ai piani del governo, a considerare con sospetto un possibile rimpasto. Intanto oggi Fratelli d’Italia è il partito con più voti e, per quanto siano cortesi i rapporti con la Lega, i dirigenti di FdI si guardano bene dal regalare agli “amici-avversari” del Carroccio una posizione così politicamente rilevante: un Salvini con le redini sull’immigrazione potrebbe in potenza far aumentare i suoi voti e ridurre quelli dei meloniani. E poi squadra che resiste non si cambia. Chi mastica politica sa che i governi non cadono mai per meriti dell’opposizione, ma solo e soltanto per liti interne. E se fino ad oggi le diatribe nella maggioranza si sono ridotte a qualche screzio (multe ai no vax, finanziaria, ecc ecc), mettere le mani in un rimpasto dei ministeri minerebbe gli attuali equilibri. Forza Italia non starebbe certo a guardare e chiederebbe qualcosa anche per sé. Meglio dunque evitare: il ritorno del Capitano al Viminale può aspettare.

Giuseppe De Lorenzo, 23 dicembre 2024

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