Se non è una confessione, poco ci manca. Una sentenza che, sintetizzata in una riga, suona più o meno così: “A noi di Hamas dei palestinesi non ce ne frega nulla”. Non sarà letterale, ma è fedele al contenuto. Una verità spiattellata in faccia a coloro i quali scambiano la “resistenza palestinese” per il terrorismo di Hamas. Ovvero quelli che fanno confusione tra la legittima aspirazione degli abitanti di Gaza (e della Cisgiordania) di avere un proprio Stato, di fermare gli eccessi dei coloni ebrei o di avere pieno controllo del proprio destino, e il desiderio di Hamas di distruggere lo Stato di Israele. Può sembrare che le due cose procedano assieme e di certo in alcuni casi saranno pure mescolate, perché nulla nella vita si divide in bianco e nero. Ma non si può spacciare Hamas – come fatto da Luigi De Magistris – per degli eroici combattenti che rivendicano il “diritto, anzi il dovere” di reagire a Tel Aviv.
E a dimostrarlo non sono i ragionamenti di chi scrive, i quali risulterebbero inutili. Né il pacato excursus storico di Tony Capuozzo che ripercorre i passi della lotta palestinese colpevole di non aver “mai imboccato una strada di opposizione non violenta”, scegliendo invece un modus operandi di lotta oggi peggiorato dal fanatismo religioso di Hamas. Chi siamo noi, osservatori occidentali e magari di parte, per convincere i De Magistris o i Di Battista che ai miliziani jihadisti dei civili palestinesi non frega un fico secco? Chi siamo per fargli capire che la reazione israeliana fatta di bombe e carri armati è stata volutamente cercata dalle brigate di Hamas? Come potremmo far capire loro che ogni morto provocato dal 7 ottobre in poi, israeliano o palestinese che sia, è solo la conseguenza inevitabile di un attacco efferato dal vantaggio militare nullo, se non quello di potersi fregiare dell’inutile gloria di aver “beffato” Tel Aviv?
Non siamo nessuno, appunto. È però possibile (speranza vana?) che lorsignori si lascino convincere dalle parole di un alto esponente dell’ufficio politico di Hamas pronunciate in un’intervista rilasciata a Russia Today e poi tradotta dalla tv di Memri.
Il punto di partenza dell’intervistatore è semplice: se ad Hamas interessasse davvero il destino dei palestinesi, oggi utilizzerebbe i propri tunnel per proteggere la popolazione civile dalle bombe israeliane. Perché non lo fa? Risponde Mousa Abu Marzouk: “Hamas li ha costruiti per proteggere i suoi stessi miliziani e non i civili che vivono nell’enclave palestinese. Perché ai civili, alla loro sicurezza, devono pensare le Nazioni Unite e anche Israele”. Chiaro? Hamas non si preoccupa dei bambini, delle donne o degli anziani, ma solo della sua guerra: preferisce proteggere la gente in arme a quella disarmata. E lo fa scientemente, altrimenti avrebbe investito gli ingenti fondi buttati nei 500 chilometri di gallerie per costruire rifugi anti-missile, scuole, ospedali, industrie, centrali elettriche e piazze. Se non ne ha mai sentito il bisogno, preferendo investire sulla morte anziché sulla vita, è perché il benessere degli abitanti palestinesi non rientra nel loro interesse. La popolazione di Gaza, dicono “per il 75% è composta da rifugiati”, e dunque “è responsabilità delle Nazioni Unite proteggerli”. Hamas pensa solo alla guerra. Vi serve altro?
Giuseppe De Lorenzo, 31 ottobre 2023