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“Ho perso per il Covid” puzza molto di scusa

Noah Lyles solo terzo nei 200 metri alle Olimpiadi esce con una surreale sedia a rotelle. Più lento per colpa del virus? I tempi di tre anni fa dicono il contrario…

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Epilogo clamoroso nella attesa finale dei 200 metri alle Olimpiadi di Parigi. Il favorito, lo statunitense Noah Lyles, si è dovuto accontentare della medaglia di bronzo, preceduto da Letsile Tebogo, del Botswana, autore di una prestazione monstre, e dal connazionale Kenneth Bednarek, che ha ottenuto la piazza d’onore. Lo sconfitto, giunto terzo anche nella precedente edizione di Tokyo, dove era sempre considerato come il probabile vincitore, ha indicato nella positività al Covid la causa della sua “defaillance”.

Motivazione accolta e rilanciata in maniera molto discutibile – vedremo poi perché – in diretta televisiva dall’ottimo Franco Bragagna, con il supporto di uno Stefano Tilli in versione double face di esperto di corse veloci e di misure di salvaguardia virale.

Questo uno dei passaggi più significativi dell’intervento del popolare conduttore: “Il racconto del Covid di Noah Lyles gela, almeno per chi sta parlando, e spiega pure la ragioni della sua sconfitta. Il vero grande problema della pandemia sembrava dover essere tre anni fa: mascherine, tutti in bolla, isolamento, tamponi continui eccetera, eccetera. Si pensava tutto sorpassato, eppure qua e là (il Covid) ci mette lo zampone, e toglie la possibilità di raggiungere l’obiettivo”. A questo punto si inserisce Tilli, mentre si vede uscire Lyles (che non è mai sembrato in fin di vita) su una surreale sedia a rotelle, e commenta secco: “Dovrebbe indossare la mascherina, in questo caso.”

Dopodiché, rispondendo alle perplessità di Guido Alessandrini, da tempo presenza fissa nel telecronache di atletica leggera, Bragagna ha addirittura sostenuto che probabilmente c’era più sicurezza quando, come per l’appunto a Tokyo, si facevano tamponi a go-go e atleti e accompagnatori vivevano in una bolla sportiva.

Ora, per fare un po’ di chiarezza nel marasma mentale di una pandemia infinita, dobbiamo ancora una volta ancorarci ai soliti, antipaticissimi numeri dalla testaccia dura. In particolare, confrontiamo la prestazione di Lyle nelle precedenti Olimpiadi, in cui non aveva il Covid, con quella di Parigi, in cui è risultato positivo. Ebbene, tre anni fa corse il 19 secondi e 74 centesimi, mentre nel 2024 è andato ancora più forte, chiudendo in 19 e 70.

Ma a Tokyo non corse i 100 metri, con tutto il carico delle prove eliminatorie, mentre a Parigi si, cogliendo un successo clamoroso.

Inoltre, nella stessa giornata in cui si è corsa la finale dei 200 metri, il velocista americano ha dovuto gareggiare anche nella staffetta 4X100. Ebbene, giunti al fin della licenza, mi permetto di segnalare a Bragagna e Tilli la recente, schiacciante vittoria di Tadej Pogačar al Tour de France, infliggendo ai suoi avversari distacchi d’altri tempi e concludendo un percorso massacrante con una freschezza disarmante. Eppure pochi giorni prima della partenza della Grande Boucle il campionissimo sloveno era risultato affetto dal Covid, senza però diminuirne le prestazioni in gara. Anzi, visto il gran numero di tappe vinte, si potrebbe pensare che il coronavirus ne abbia addirittura potenziato la pedalata su tutti i terreni.

Evidentemente, prendendo per buona la narrazione di chi continua a ritenere il Sars-Cov-2 più pericoloso della peste bubbonica, dovremmo convenire di trovarci al cospetto di un virus estremamente selettivo e capriccioso, facendo vincere o perdere chi lo incontra a seconda dell’umore del momento.

Insomma, una sorta di virus bipolare su cui non bisogna mai far troppo affidamento. D’altro canto, come possiamo mai fidarci in una situazione in cui tanto va il virus al lardo se poi ci lascia, a noi umani, lo zampone?

Claudio Romiti, 9 agosto 2024

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