Cade o non cade? Potrebbe essere il ritornello di questa estate. In effetti, le fibrillazioni, come suol dirsi, in seno alla maggioranza son sempre più forti e destinate ad aumentare. Anche se la crisi, ci si sarebbe, non avverrebbe, a mio avviso, prima della fatidica data di settembre, quella che permette ai deputati di maturare la pensione. Certo, la crisi potrebbe sempre attuarsi al di là delle intenzioni, cioè il gioco dell’alzare sempre più la posta da parte dei partiti potrebbe sfuggire loro di mano. Ma alla fine quel che conta è non ciò che predica ma quello che si vota in aula, fiducia compresa. Ma chiediamoci: su quali temi e per quali motivi Draghi potrebbe essere mandato a casa prima della scadenza della legislatura?
1. Prima di tutto c’è il problema del futuro politico di Conte e di molti grillini, la cui esperienza nei palazzi dl potere potrebbe presto concludersi se la discesa libera in consensi e voti non viene arrestata (un fattore che costituisce un combinato disposto micidiale con la diminuzione nella prossima legislatura del numero dei partecipanti). Andare alle urne subito per Conte potrebbe significare come Movimento sia intestarsi un’identità, che è quella vecchia di partito anti establishment, sia arrestare il prima possibile la prevedibile e ulteriore emorragia e poterla così addebitare a chi stava prima di lui.
2. Ovviamente andare alle urne subito potrebbe non dispiacere nemmeno a Letta se avvenisse per causa altrui (e quindi non gli farebbe perdere l’aureola di draghista ed europeista agli occhi dell’opinione pubblica). Dobbiamo quindi aspettarci, da questa parte, continue provocazioni verso gli avversari, a cominciare da quelle rivolte alla Lega. L’insistenza su ius scolae, eutanasia, Ddl Zan, si inserisce in questo orizzonte.
3. La caduta del governo potrebbe, in teoria, non dispiacere nemmeno a Draghi, ma solo se si verificasse una condizione per il momento lontana: cioè la concreta possibilità di concorrere ad un posto di prestigio internazionale (la poltrona di segretario generale della Nato sembra essere ormai naufragata). A qual pro perdere energie a mediare fra partiti litigiosi e già proiettati in campagna elettorale, con il rischio concreto di non attuare gli obiettivi a cui sono legati i soldi del Pnrr, perdendo così tutto il capitale reputazionale conquistato per sé negli anni passati?
4. Il caso di Fratelli d’Italia è un po’ diverso perché il Partito di Giorgia Meloni non fa mistero, e non da oggi, di voler andare al voto anticipato: un voto che lo farebbe diventare con molta probabilità il primo partito d’Italia.
A chi forse le elezioni non convengono proprio è a Matteo Salvini, che, con il mordente e la determinazione che lo contraddistinguono, cercherà nell’anno che ci separa dalla scadenza naturale della legislatura di rimontare e risorpassare la Meloni. Impresa difficilissima ma anche un azzardo che non può non essere giocato dal leader leghista. Come al solito egli giocherà su due fronti: si distinguerà sempre più da Draghi, per riconquistare pezzi di identità perduta, ma stare attento a non spezzare la corda. Un obiettivo a cui un’ultima analisi mira anche il capo dello Stato, con cui c’è una paradossale convergenza di fatto. Proprio perché le elezioni, che comunque metterebbero a rischio i soldi europei, Mattarella, che è il vero arbitro della situazione, non le vuole, l’ipotesi più probabile è che esse non ci saranno. Alla fine al Quirinale, come prevede la Costituzione, c’è un notaio che è però anche un Re democratico e (sembra un ossimoro) repubblicano. Ci sarà una vigilanza preventiva, una moral suasion verso i partiti e, se proprio non dovesse bastare, forse anche qualche “soluzione tecnica” ora inimmaginabile.
Corrado Ocone, 15 maggio 2022