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I 4 vizi degli intellò smontati da Capezzone

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Bisogna essere grati a Daniele Capezzone, firma di punta di questa pagina, per il suo ultimo libro, che mi auguro possa essere letto da quante più persone possibili, anche e soprattutto da chi ha idee diverse, o addirittura opposte, alle sue.

Perché leggere Likecrazia 

Per tanti motivi, ma, ai miei occhi, per uno soprattutto: Capezzone dimostra come si possa essere di parte, non ambigui cioè sulle proprie idee e posizioni, ma mettendole sul tavolo e senza essere faziosi: rispettando cioè la “realtà”, raccontandola senza giudicarla né disprezzarla, e rispettando anche gli avversari che in buona fede la pensano diversamente. In sostanza, lavorando su argomenti e concetti e sulla capacità che un uomo pubblico deve avere in sommo grado, oggi soprattutto: saperli comunicare, e quindi anche entrare in rapporto empatico o emozionale con il suo “pubblico”. Sempre che si riesca a individuarlo con precisione: intelligenza che spesso manca ai cosiddetti “competenti”, o “professoroni”, come Capezzone li chiama, che, con la loro saccenteria presuntuosa e arroganza (condita a una buona dose di ipocrisia), sono gli avversari polemici di questo libro.

Dentro il libro, tra politica e attualità

Likecrazia. Lo show della politica in tempo di pace e di coronavirus (Piemme) nasce, in effetti, all’incrocio di due esperienze dirette dell’autore: quella politica, che lo ha visto anche deputato per due legislature, e quella attuale, di commentatore e opinionista sia televisivo sia della carta stampata. È scritto in un modo chiaro, lineare, argomentato con logica coerenza. L’autore non nasconde nulla e si fa capire da tutti, pur intuendo i più accorti (in Capezzone non c’è nessuna ostentazione) la vasta mole di letture metabolizzate e di cultura mentalmente organizzata che è alla base di ogni sua espressione. Ecco allora che, quasi per magia, i vari fili che compongono il testo, si intrecciano con coerenza in una visione solida della comunicazione e della politica ai nostri tempi. Una visione maturata nel tempo, messa poi alla prova e confermata dalle vicende legate al coronavirus che Capezzone sviscera nei due capitoli centrali del suo libro..

Cerchiamo di afferrare alcuni di questi fili, nel bravo spazio della recensione. Prima di tutto una constatazione: la politica oggi si gioca sui media, vecchi e nuovi. I quali hanno una loro logica, che, prima di essere giudicata, va compresa mettendo da parte pregiudizi e automatismi mentali ereditati. Questa logica è un fatto, è realtà: se la esorcizzi, ne paghi le conseguenze. Di solito, l’intellettuale mainstream, più o meno di sinistra, compie questa opera di rimozione, rimanendo poi spiazzato. Invece di fare autocritica, ammettendo di non avere correttamente interpretato la realtà, egli, a quel punto, se la prende con la realtà che, recalcitrante, non si è adattata ai suoi schemi logici e “morali”.

Le vicende politiche degli ultimi anni, con l’avanzare di forze non comprese e quindi superficialmente e spregiativamente catalogate come “populiste” o “sovraniste”, offre un vasto campionario, anzi “bestiario”, che Capezzone tratta con logica implacabilità e arguzia ma anche con la sottile ironia che lo contraddistingue. Con esempi appropriati, egli ci svela quelli che io chiamo i “quattro peccati capitali” della sinistra intellettuale, o comunque della cultura dominante: il manicheismo; la faziosità; il doppiopesismo; la delegittimazione morale dell’avversario (“ogni giudizio è evidentemente ultralegittimo. Quel che preoccupa è la tendenza di alcuni a trattare l’avversario politico come mostro, e fare oggetto perfino i suoi sostenitori di identica mostrificazione”. Ed è un problema che questi quattro “vizi” vengano riprodotti a volte, ahimé, anche dagli intellettuali di opposizione, come in un fugace passo osserva sconsolato Capezzone, a cui certo non difetta l’onestà intelettuale.

C’è poi da considerare il gusto per la libertà che anima queste pagine, che non ha bisogno di esprimersi in teorie del liberalismo o dottrinarismi. Una caratteristica che, unita all’atlantismo quasi d’altri tempi (di nuovo ahimé!) dell’autore, fa di Capezzone quasi uno straniero in patria: “l’emergenza ha rappresentato -egli scrive- un terrificante esperimento di ingegneria sociale che ha mostrato quanto possa essere docile  – perché spaventato – un popolo pur ritenuto anarchico e ribelle” come il nostro. Senza toni pedagogici o superbie malcelate, il libro di Capezzone si risolve poi anche in una sorta di vademecum su come si comunica o si fa buona comunicazione, ad esempio in un talk show televisivo. Perché il problema, anche in questo caso, è capire come si può trasmettere qualche idea, o fungere umilmente da “sgabello” per chi vuole salire ai “piani più alti”, stando alle regole (non necessariamente deplorevoli) del gioco-spettacolo televisivo: immediatezza, scarsa attenzione, femotività.

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